In 900mila per l’acqua pubblica

Stasi (Cgil):"la campagna referendaria è anche una battaglia del sindacato". Già 4500 le firme in provincia di Varese

Acqua privata uguale aumenti delle bollette, riduzione degli investimenti e fornitura di un servizio meno sensibile al sociale. Con questa convinzione anche la Cgil ha appoggiato in questi mesi i comitati per la raccolta firme a sostegno del referendum per l’abrogazione della legge che privatizza la gestione e fornitura dei servizi idrici in tutta Italia.
Una campagna iniziata il 24 aprile scorso che ha raggiunto un risultato che nemmeno i promotori si aspettavano: sono quasi 900mila le firme a sostegno del referendum raccolte in tutta Italia, 4.500 solo nella Provincia di Varese. Franco Stasi, Stefano Rocci, Sabrina Gerbino
Una campagna fatta di iniziative, convegni pubblici, dibattiti, ma soprattutto banchetti, decine, centinaia, miglia di banchetti che in questi ultimi mesi hanno popolato le piazze e le strade italiane, e non ultime dalle sedi della Cgil sparse sul territorio.
Obiettivo: mantenere la gestione dell’acqua sotto il controllo dello stato, «perché ci sono risorse che non possono essere lasciate nelle mani delle aziende private che, seppur legittimamente, perseguono obiettivi che rispondono a leggi di mercato, e non alla funzione primaria e vitale che un bene come l’acqua rappresenta» spiegano Stefano Rocci e il segretario generale di Cgil Varese Franco Stasi insieme a Sabrina Gerbino, promotrice del comitato referendario varesino.

La legge che ha dato il via al processo di privatizzazione è il cosiddetto decreto Ronchi che ha aperto le porte alla cessione ai privati dei servizi idrici. Tutti i comuni d’Italia (riuniti negli ambiti territoriali ottimali, ATO) saranno obbligato a mettere a gara la gestione dell’acqua o affidarla a società miste in cui la componente privata sia almeno del 40%.
Tutto questo, secondo i comitati a sostegno del referendum che vuole abrogare la legge, andrà contro i diritti del cittadino.
Il motivo, sostengono, è semplice, «nelle realtà dove è già stata attuata un esperienza di privatizzazione delle risorse idriche le bollette sono aumentate. Basti pensare che il costo medio di un metro cubo d’acqua in provincia di Varese si aggira tra i 60 e gli 80 centesimi di euro, nelle città che hanno già privatizzato il servizio questo costo sale a 2 euro. I conti sono presto fatti: se attualmente a Varese i costi annuali di una famiglia composta da tre membri sono di 120 euro, con la privatizzazione salgono a 380 euro».
E non è solo una questione economica, ce n’è anche una etica, che riguarda la delicatezza nel trattare un bene così prezioso, e una sociale, «se una famiglia non ha più le risorse per pagare la bolletta cosa facciamo gli tagliamo l’allacciamento alla rete idrica? Con il pubblico si trovano delle soluzioni per garantire i servizi indispensabili ma con i privati?».
A tutto questo va affiancato il costo in termini occupazionali di un trasferimento di gestione dell’acqua, ed è questo uno dei punti che più precupa la Cgil, «queste operazioni andrebbero sicuramente ad incidere in termini di licenziamenti e revisione dei contratti dei lavoratori».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 11 Giugno 2010
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