La “rete” vale per le imprese, ma anche per i politici
Mauro Colombo, direttore generale di Confartigianato, riflette sulla valorizzazione della nostra provincia. «Ripensare il territorio e le sue vocazioni - dal centro alle periferie - chiede di capire il valore di ciò che esiste e di ciò che potrebbe esistere»
Di fronte alla crisi si è parlato poco di centralità del territorio. Il nostro – composto per lo più da MPI in distretti fatti di eccellenze manifatturiere, centri dalle dubbie finalità (e che ancora devono trovare la loro reale vocazione) ed una creatività mai sopita – ancora una volta rivela il suo lato di modello economico “moderno”. (Nella foto: Mauro Colombo)
Centralità del territorio – con tutto ciò che gravita al di fuori e al di dentro dei suoi perimetri – significa integrazione delle diverse azioni di sviluppo. Perché solo in questa dimensione locale possiamo valorizzare il contenitore di patrimoni imprenditoriali, sociali, umani, relazionali, professionali di cui siamo dotati. Vorremmo si parlasse di “governo imprenditoriale”, dove la figura di colui che “è, sa fare e sa” esercita la sua funzione di protagonista e attore lungimirante del cambiamento. Si è parlato, e si parlerà ancora di Pedemontana, Malpensa, Arcisate–Stabio, città diffusa, Welfare (purtroppo ancora fittizio e assistenzialista e non federalista). Si deve parlare, in questo caso, anche di “isole” territoriali che non sempre sono agganciate alla realtà, alle richieste imprenditoriali e alle sfide del domani. E sulle quali si dovrà decidere: associazioni con istituzioni. Condividere significa guardare ad una struttura organizzativa che sappia legare gli interessi dell’associazionismo e dei sindacati a quelli di Comune, Provincia, Camera di Commercio, Regione Lombardia. La “rete” non vale solo per le micro e piccole imprese, ma anche per coloro che sono “gestori della politica”.
Responsabilità collettiva – Dobbiamo responsabilizzare tutti noi nel riposizionare il territorio con politiche di sviluppo economico e sociale per poterne affermare gli scenari futuri – sviluppare, orientare e attuare – sin da oggi. Il governo del territorio dev’essere un modello che noi tutti vogliamo attuare, non un’ipotesi. Uno strumento che trova la sua più alta realizzazione nel saper premiare l’imprenditorialità e la collettività. Replicare, esportare e adattare il modello è sinonimo di capacità gestionale delle risorse presenti e di sviluppo di quelle future. Al di fuori del campanilismo, che dev’essere premiato quando punta all’esaltazione delle peculiarità territoriali ed alla loro divulgazione all’esterno, ma non può essere accettato nel momento in cui diviene protezionismo e chiude al confronto ed alla trasmissione di esperienze diverse.
Sostenibilità – Quando si parla di sviluppo sostenibile, si intende questo: di fronte a standard tradizionali di gestione del territorio, a risorse pubbliche sempre più scarse, a conflitti politici discutibili si deve pensare ancor più al bene del territorio. Gli stessi criteri, economici e sociali, di gestione del territorio devono nascere da obiettivi sostenibili, dal consenso diffuso e da un nuovo modo di generare e distribuire risorse.
Le nostro eccellenze si devono affermare sul territorio e radicare al di fuori di esso. Perché la territorialità è la capacità di indicare luoghi ben identificabili come espressione di una possibile ripresa e di un nuovo sviluppo economico. Per fare questo penso serva una relazione sempre più stretta tra domanda e offerta. Ripensare il territorio e le sue vocazioni – dal centro alle periferie – chiede di capire il valore di ciò che esiste e di ciò che potrebbe esistere. Distretti di imprese, risorse per sostenerli e potenziali, insediamenti produttivi, opere infrastrutturali sono il punto di partenza di un modello che dovrà abbandonare il governo autoreferenziale per sposare una centralità delle competenze, dove i servizi possano rappresentare l’ingresso esclusivo di questo territorio verso l’oggi-domani.
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