A casa per guarire, l’azienda lo licenzia

La denuncia di Baldassare Piccichè, autista dell'Air Pullman: due infortuni, un anno a casa in malattia. "Ho preso anche l'aspettativa, ora che dovrei rientrare mi licenziano"

Quattro mesi di aspettativa, a casa senza stipendio per guarire definitivamente, e poi arriva la lettera di licenziamento. Baldassare Piccichè ora è disperato: «Le banche vengono a chiedere i soldi e non riusciamo più a pagare l’affitto. Altrimenti non posso dare da mangiare ai miei figli». Piccichè lavora come autista per l’Air Pullman, che garantisce servizi aeroportuali: l’azienda lo accusa di aver perso troppi giorni di lavoro per malattia, superando la quota massima di 365 giorni in tre anni.
 
Tutto è iniziato due anni fa, con un infortunio (una frattura al piede) che l’ha tenuto lontano dal suo mezzo per quattro mesi. Poi nell’inverno del 2009 il secondo infortunio: «Ero andato a prendere l’equipaggio di un aereo in albergo, sono scivolato su una lastra di ghiaccio e mi sono rotto tre costole». È rimasto bloccato per mesi, convivendo con il dolore e con la depressione che l’ha portato anche ad ingrassare di venti chili. I giorni passano, Piccichè rischia di arrivare al limite massimo di giorni di malattia. E così chiede all’azienda l’aspettativa, per restare a casa (senza stipendio) mantenendo comunque il posto. «Il 19 febbraio di quest’anno ho fatto richiesta di conoscere dall’azienda dei giorni di malattia, loro mi hanno risposto solo a fine marzo, dicendo che avevo superato il limite di 365 giorni». Nel frattempo però Piccichè era già a casa senza stipendio, si curava prima alla Fondazione Maugeri di Tradate e poi anche alla clinica di Piancavallo per recuperare la forma fisica.
 
L’aspettativa sarebbe finita il prossimo 31 luglio, ma l’8 luglio Piccichè ha ricevuto la lettera di licenziamento, che fa riferimento appunto ai giorni di malattia. «Quel che mi fa arrabbiare – spiega – è che mi hanno licenziato dopo che mi avevano concesso l’aspettativa: io avevo deciso di stare a casa senza stipendio proprio per non rischiare. D’altra parte dovevo guarire davvero». In quattro mesi ha grattato il fondo del barile dei risparmi. E ora l’autista soffre di depressione, di fronte alle difficoltà con cui si deve misurare, dovendo mantenere la famiglia: ha 45 anni, la moglie non lavora, ha tre figli, di cui uno di due anni. «Abbiamo chiesto aiuto anche ai servizi sociali del Comune, ma ci hanno detto che guardando al reddito dell’anno scorso non avevo diritto. Ma io che devo fare per riavere il lavoro, devo commettere una pazzia?». Piccichè, che è iscritto ed assistito dalla CUB Trasporti, è determinato a far sentire le sue ragioni. «Non mi possono licenziare perché sono guarito»

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Pubblicato il 29 Luglio 2010
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