Dall’IMU alle tasse, il mercato “come il Far West”. Parola di imprese
Lo dice un sondaggio dell’Ufficio Studi di Confartigianato Varese inviato ad un campione di 500 imprese che operano nel settore dell’edilizia tradizionale e nella “green economy”
 La crisi ha portato il settore delle Costruzioni in una situazione al di fuori da ogni, possibile, previsione. E anche la bioedilizia sta facendo i conti con la recessione del mercato. Lo dice un sondaggio dell’Ufficio Studi di Confartigianato Varese inviato ad un campione di 500 imprese che operano nel settore dell’edilizia tradizionale e nella “green economy”. A questa nicchia che da sempre punta più alla ristrutturazione che al “nuovo”, si è chiesto quanto ha influito la crisi sulle attività imprenditoriali ma anche quali sono state le mosse sbagliate che hanno portato alla situazione attuale, quali i problemi che caratterizzano le imprese del settore e le eventuali – possibili? – soluzioni in merito.
La crisi ha portato il settore delle Costruzioni in una situazione al di fuori da ogni, possibile, previsione. E anche la bioedilizia sta facendo i conti con la recessione del mercato. Lo dice un sondaggio dell’Ufficio Studi di Confartigianato Varese inviato ad un campione di 500 imprese che operano nel settore dell’edilizia tradizionale e nella “green economy”. A questa nicchia che da sempre punta più alla ristrutturazione che al “nuovo”, si è chiesto quanto ha influito la crisi sulle attività imprenditoriali ma anche quali sono state le mosse sbagliate che hanno portato alla situazione attuale, quali i problemi che caratterizzano le imprese del settore e le eventuali – possibili? – soluzioni in merito.
Il 96% del campione si dice d’accordo sul fatto che «la crisi c’è e si fa sentire»; il 4%, invece, si ritiene «più che fortunato, perché viaggia in controtendenza: con meno liquidità (però una gestione attenta permette anche piccoli investimenti) ma con il doppio del lavoro rispetto gli anni passati». Complici «i costi più elevati delle case in bioedilizia rispetto a quelle tradizionali, anche se dirette ad una clientela d’elite», il settore si trova ad un bivio: riconversione dell’attività o continua sofferenza.
Il 50% dei 500 intervistati pensa che «l’IMU, l’aumento dell’Iva al 21% e la tassazione troppo elevata siano i veri punti negativi della vicenda. Il 40%, invece, sottolinea il peso eccessivo di un difficile accesso al credito e dei tassi dei mutui troppo elevati». L’8% dice, invece, «della troppa burocrazia, dei finanziamenti smisurati e della speculazione». C’è posto anche per la cementificazione fuori controllo: «La costruzione eccessiva e l’impossibilità di acquistare casa causata dalla crisi, ha bloccato gli ingranaggi». Un timido 2% prende atto della situazione: «Ci dobbiamo adeguare a questa instabilità economica, perché non si tratta di un momento passeggero. Le imprese dovranno attrezzarsi per aprire nuove strade, organizzare nuove iniziative e diventare elastiche e flessibili».
La perdita di lavoro, per l’85% del campione, va dal 50% all’80%: «Il mercato somiglia al Far West», dicono gli imprenditori. Poi, il 100% lamenta i «tempi di pagamento troppo lunghi»: l’Italia è fanalino di coda nella UE con i suoi 94 giorni contro una media europea di 53. Soluzioni? Si parte, sempre, dall’importanza di lavorare su qualità e professionalità, ma anche sull’esigenza di trasmettere al pubblico i reali vantaggi di una costruzione e/o ristrutturazione secondo i criteri del risparmio energetico «colpendo chi pratica il lavoro nero e incentivando, invece, chi agisce secondo le regole».
Così, il 92% dei 500 imprenditori chiede che «ci sia maggiore proporzionalità tra i tassi di interesse concessi dalle banche e i tassi applicati al mercato per assicurare un aumento dell’accesso al credito. Poi, agevolazioni, sgravio delle aliquote Iva e affidamenti non bloccati». A seguire, l’8% si divide tra un 4% che chiede «una maggiore vigilanza su chi applica la concorrenza sleale (basata sulla drastica diminuzione del prezzo senza qualità) e su chi non segue le normative vigenti» e un 2% per il quale è importante che vengano definite «leggi chiare e applicabili».
Il restante 2% interessa chi vorrebbe «unificare su scala nazionale i parametri di certificazione energetica e gli incentivi direttamente proporzionali alla classe ottenuta» e chi dice, ormai rassegnato, di «non fare niente: il mercato si sistema da solo». In questa percentuale, però, rientrano anche gli imprenditori che premiano la scelta del Governo Monti di «ampliare il recupero del 55% fino a euro 96mila, agevolazione che andrebbe estesa anche all’acquisto della prima casa, magari con un limite di euro 100mila».
Al totale del campione attivo nella “green economy”, però, interessa un particolare sul quale si potrebbe giocare il futuro del comparto Costruzioni: «Più attenzione al territorio!», dichiarano le imprese. Più attenzione a mantenere gli equilibri, rispettare gli spazi, conservare ciò che già c’é. E qui si parla di cultura: «Dai cittadini alle istituzioni, si dovrebbe educare al recupero dell’esistente per ottimizzare le risorse e per prepararci ad una società dove la casa dovrà rappresentare un bene funzionale e sostenibile».
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