Calogero Marrone: morì a Dachau, oggi è l’eroe della città
Toccante cerimonia in comune, Israele consegna ai parenti il riconoscimento di "Giusto tra le nazioni" all'ex capo dell'ufficio anagrafe deportato dai nazisti. La nipote. "E' tutto merito del giornalista Franco Giannantoni"
E’ da questa sala che tutto è cominciato, ed è qui che la storia ha terminato il suo cammino, con un riconoscimento alla memoria del capo ufficio anagrafe del comune di Varese: l’uomo che aiutava gli ebrei a scappare, e che per questo morì in un campo di concentramento. Nel mezzo, è successo di tutto; dalle tragedie della guerra, al tradimento che portò alla morte di Marrone. Ma soprattutto l’oblio, e la vergogna che colpiva le vittime della shoa, lasciando i familiari incerti tra la voglia di ricordare e il bisogno di dimenticare per non soffrire.
Ebbene, oggi Calogero Marrone, capo dell’ufficio anagrafe del comune di Varese, morto a Dachau nel 1944, è ufficialmente una pilastro della storia di Varese. Il riconoscimento di “Giusto tra le nazioni”, concesso a dicembre del muso del Yad Vashem di Gerusalemme, è stato consegnato alla nipote, Daniela Marrone (nella foto), dalla responsabile per Israele del museo, dal sindaco Attilio Fontana e dal prefetto Carlo Zanzi.
E’ stata una cerimonia molto bella, serena, di una Varese riconciliata con quella storia, e con Franco Giannantoni, il giornalista che da venti anni si batte per questo riconoscimento, che finalmente commosso per avere ottenuto l’obiettivo “civico” e “morale” che si era prefisso con il suo incredibile libro “Un eroe dimenticato”, ha potuto dire: «Oggi in questa sala, dove tutto cominciò, Varese restituisce l’onore al suo fratello caduto per la libertà».
C’erano anche Manuela Marrone, nipote di Calogero, e il marito Umberto Bossi, che ha pianto per buona parte delle cerimonia.
(VIDEO, L’ARRIVO DI BOSSI)
Attilio Fontana ha pronunciato un breve discorso contro l’antisemitismo, il prefetto Carlo Zanzi ha invece osservato che Marrone, prima ancora di divenire un eroe, era un funzionario modello, una persona da prendere a esempio per il suo comportamento quotidiano come funzionario pubblico. Due testimoni di quegli anni hanno parlato alla gente riunita nel salone. Rosanna Brusa Pasquè, che ha rievocato come fu fermata a Varese dai nazisti nel 1943, e Franco Pedroletti, ex partigiano di Giustizia e Libertà: «Ci rivolgevamo a Calogero Marrone perché sapevamo che aveva un’umanità superiore. Amò gli altri più che se stesso, e per questo morì». Pedroletti ha raccontato che nel 1943 lui, il fratello e uno dei figlio di Marrone tentarono di andare in Svizzera ma una guardia sulla Tresa puntò la pistola ai ragazzi. Fu Calogero Marrone a puntare una rivoltella contro la guardia e a salvarli: «Quella pistola la portai con me nella resistenza e la affidai al mio comandante» racconta. Ma tornando ai ricordi, anche familiari (erano originari di Favara, Agrigento) Daniela Marrone è stata molto delicata nel suo commiato: «Io nacqui dopo la guerra e mia nonna non mi parlò mai di questa storia. Dobbiamo tutto a Franco Giannantoni, che l’ha ritirata fuori dopo tanti anni. Però alla mia famiglia voglio dire che la riservatezza con cui ci protessero da quella vicenda è stata speciale. Avevano ritrovato al voglia di vivere e ce la trasmisero, e così potemmo vivere una vita felice».
(GUARDA INTERVISTA VIDEO).
Silenzi privati da rispettare, mentre quelli pubblici parvero a un certo punto, a Franco Giannantoni, intollerabili, e così in quell’ufficio dove Calogero Marone preparava carte in bianco per salvare la vita agli ebrei (e dove fu tradito) oggi c’è una lapide che ricorda quel sacrificio. E anche il comune di Varese ha recuperato per sempre uno dei suoi figli migliori.
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