L’ambulatorio degli invisibili compie cinque anni

Nato nel 2009, il progetto "Sanità di Frontiera" ha garantito cure a quattrocento persone. Il servizio nasce per offrire assistenza a clandestini e italiani senza fissa dimora

«Quando abbiamo aperto l’ambulatorio, cinque anni fa, il timore più grande di chi si rivolgeva a noi era quello di essere denunciato. Era il 2009, la situazione politica era diversa, e il Governo incitava i medici a segnalare alle autorità i pazienti clandestini o irregolari mentre noi ci preoccupavamo esclusivamente di curarli. Oggi lo spirito è diverso, i nostri pazienti vivono comunque situazioni di disagio ma le loro preoccupazioni riguardano il lavoro e la casa. Hanno soprattutto il timore che i problemi di salute possano compromettere la loro capacità lavorativa e di conseguenza di costruirsi un futuro». Filippo Bianchetti è uno dei medici volontari che hanno dato vita al progetto "Sanità di Frontiera", un ambulatorio che offre cure a cittadini stranieri senza permesso di soggiorno (definiti "Stp", stranieri immigrati temporaneamente presenti in Italia) ma anche agli italiani senza fissa dimora. Dobbiamo inoltre sfatare il luogo comune che gli immigrati "portano le malattie": i casi di malattie contagiose sono stati pochissimi». In questi anni sono state assistite 400 persone, provenienti da 36 paesi diversi e sono state effettuate 1454 visite. «L’utente medio è giovane e sano, mentre sono solo una piccola percentuale gli anziani e i pazienti con gravi patologie – spiega Bianchetti -. I paesi di provenienza sono diversi: la maggior parte degli utenti arriva dall’Ucraina (105), dall’Albania (78) e dal Marocco (41)».                

"Di frontiera" sono dunque le storie di chi bussa alle porte dell’ambulatorio in cerca di cure per problemi di salute più o meno gravi: sono persone che vivono ai margini, che devono fare i conti spesso con situazioni di lavoro nero o sfruttamento o che si sono ritrovate in clandestinità dopo aver perso l’impiego a causa della crisi. A queste persone il servizio sanitario regionale non garantisce le cure essenziali e sono dunque esposti a rischi di complicanze o costrette a un uso improprio dei servizi del pronto soccorso.

Per ovviare a questo disagio, nel 2009, un gruppo di volontari, medici, psicologhe e infermieri ha dato vita a una realtà autonoma, un modo per rispondere alla mancanza di questo servizio da parte del pubblico. Il progetto è sostenuto da I colori del mondo, alla quale partecipano molte associazioni di volontariato, i sindacati e le comunità di immigrati della provincia di Varese. «Eravamo un piccolo gruppo all’inizio e abbiamo incominciato un po’ in sordina – racconta Pinuccio Manciani, uno dei volontari -. Non abbiamo mai fatto pubblicità ma ad affollare la nostra sala d’attesa ha contribuito il passaparola. Oggi siamo una vera squadra: 8 medici, 4 psicologhe, 3 pediatre, 12 infermiere, 15 aiutanti generici che si occupanto dell’accoglienza e delle informaizoni per i pazienti e anche un ingegnere informatico che ci ha permesso di realizzare un programma per archiviare tutti i dati e creare delle cartelle cliniche». I volontari, racconta Manciani, hanno seguito anche dei percorsi di formazione: «Abbiamo frequentato dei corsi per poter dare delle informazioni precise a chi si rivolge a noi in materia di diritti e doveri. È questa una componente molto importante della nostra attività, spesso abbiamo a che fare con persone disorientate». La fragilità di chi arriva all’ambulatorio di "Sanità di Frontiera" dipende dal vissuto di ognuno, per questo motivo è stato previsto anche un sostegno di tipo psicologico. 

Fiorella Gazzetta è una delle psicologhe che svolge gratuitamente la sua attività presso il centro: «Non solo l’aiuto fisico è importante, anche quello morale. Allo sportello arrivano individui che hanno esperienze diverse e che nella vita fanno o hanno fatto un po’ di tutto, dalle badanti ai manovali. Pensiamo a come si può sentire chi era regolare e dopo aver perso il posto di lavoro si trova nell’illegalità: possiamo intuire le preoccupazioni, le paure e le angosce che vive. E questo vale anche per chi, per mantenere un lavoro seppur non in regola, deve fare i conti con situazioni di ricatto o di sfruttamento. È molto delicato questo aspetto».  

«Attualmente la nostra è una realtà unica, che collabora con Asl e Prefettura – precisa Ruffino Selmi, vice presidente delle Acli di Varese -. Come Acli abbiamo creduto fin dall’inizio in questo progetto e abbiamo messo a disposizione dei locali per ospitare medici e utenti».   

«Il nostro obiettivo finale è quello di chiudere – commenta Filippo Pinzone, presidente di I colori del mondo -. Una realtà così importante non dovrebbe essere affidata a volontari ma dovrebbe essere un servizio di cui il settore pubblico si fa carico. Ci auguriamo che un domani questo accada e che, oltre a quello di Varese, vengano aperti altri ambulatori nelle diverse zone della provincia, penso al Luinese, a Gallarate e a Busto Arsizio». 

Lo sportello Sanità di Frontiera è attivo presso la Sede delle Acli di Varese, in via Speri della Chiesa 9. È aperto il martedì e il venerdì dalle 18 alle 20. Per informazioni: 329.0723770 (orari di apertura)

Per celebrare i primi cinque anni, sabato 22 marzo è stato organizzato l’incontro "Immigrazione e salute"

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 14 Marzo 2014
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