La raccolta fondi per i poliziotti del Caso Uva

Clima di amarezza in questura. I colleghi hanno posizionati alcune urne a favore dei colleghi, per aiutarli a pagare gli avvocati. Arriva un secondo avvocato, Pietro Porciani di Milano. Difese alcuni agenti al G8

La morte di Giuseppe Uva approderà in tribunale e probabilmente ci sarà un processo contro 2 carabinieri e 6 poliziotti accusati di omicidio preterintenzionale e altri reati, per aver picchiato Uva in caserma quella notte. Il clima è teso e anche in questura, dopo anni di silenzio, si stanno avvertendo ripercussioni. Nessuna informazione ufficiale. Il caso pare sia seguito direttamente dall’ufficio del capo della polizia a Roma che, in tutti questi mesi, ha consigliato un basso profilo, anche per non alimentare polemiche ed eccitare inutilmente gli animi.
Nella questura di Varese, tuttavia, alcuni uffici hanno spontaneamente, in questi giorni, posizionato delle cassette di cartone di solidarietà con i colleghi indagati. I cartelli sono eloquenti; è in corso una raccolta di fondi in solidarietà ai colleghi, per sostenere le spese degli avvocati. Una iniziativa del genere era stata annunciata, alcuni giorni fa, da un sindacato di polizia. Ma quanto accaduto alla questura di Varese, invece, ha un’origine spontanea e senza sigle sindacali, che peraltro vengono viste da alcuni persino con un certo fastidio.
Le reazioni dal basso negli ambienti degli indagati, in questura e al comando provinciale dei carabinieri (entrambi in silenzio da anni), sono da ascrivere ad un gioco delle parti normale e legittimo. E’ in corso infatti una dialettica tra opinioni e posizioni radicalmente differenti. Dall’altra parte della barricata, in tanti sono convinti che Uva Giuseppe debba avere giustizia e hanno, in questi anni, sostenuto una legittima richiesta di riaprire indagini e processo per accertare cosa accadde in caserma. Specularmente, ora, ci sono anche quelli convinti che le vittime siano proprio gli agenti.
Non è indifferente a nessuno quello che sta accadendo in questa vicenda. Il Caso Uva, non è più solo una storia locale (è dal 2009 che ce ne occupiamo). In passato era stata, a sprazzi, una costola dei casi Aldrovandi e Cucchi, ma oggi è diventato praticamente il più importante caso giudiziario nel filone delle sospette violenze di stato. La testimone “scovata” da “Chi l’ha visto?”, mercoledì sera, è il segnale che l’indagine è entrata nel perimetro delle storie appetibili per le trasmissioni a tema. Con risultati complessi. Ad esempio, la donna ha riferito di un pestaggio in ospedale in maniera molto generica e confusa; durante le indagini e i processi, invece, tutti i testimoni presenti (medici, guardie, infermieri, autolettighieri) hanno raccontato fatti ben diversi.
Tuttavia, con l’imputazione coatta che porterà gli 8 esponenti delle forze dell’ordine davanti al giudice delle indagini preliminari, Stefano Sala, cambia anche la strategia difensiva degli stessi indagati. Il primo segnale arriverà breve ed è un affiancamento in corsa di difensore. Allo storico legale Luca Marsico, sarà legato Pietro Porciani, un avvocato di Milano che già in passato si è occupato di difese di agenti in servizio, anche 4 capisquadra processati per il G8. Per 2 agenti su 6, dunque, da oggi c’è un codifensore. 

VERBALI E ARTICOLI

L’ordinanza del gip che ha riaperto il caso

I pm che lo volevano archiviare
Il ricorso del difensore contro l’ordinanza
Le accuse della sorella
La notte in ospedale, minuto per minuto
Il medico che vide uva in caserma
Il verbale del poliziotto che era in caserma


Redazione VareseNews
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Pubblicato il 29 Marzo 2014
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