Migranti accampati in Questura: “Qui per altri 5 mesi”
Il loro appuntamento è per novembre e nel frattempo non hanno altri posti in cui andare. Così due ragazzi del pakistan vivono da giorni davanti alla Questura mentre il quartiere si mobilita per aiutarli
Sono seduti sui gradini dell’ufficio immigrazione della Questura e aspettano il loro turno. Ma da aspettare ci sarà tanto per i due ragazzi originari del Pakistan che da settimana scorsa vivono in via Trentini a Varese. Sul foglio che stringono tra le mani, il documento che attesta la loro richiesta di asilo in Italia, la data segnata per presentarsi in Questura è quella del 19 novembre 2015, tra poco meno di 5 mesi.
«Siamo in Italia da una settimana e da subito siamo arrivati qui a Varese» spiega Iqrar, 19 anni, l’unico che parla un po’ di inglese. Venerdì scorso hanno così presentato la domanda agli uffici della Questura e da quel momento hanno iniziato a vivere davanti alle porte dell’ufficio frequentato da decine di stranieri ogni giorno. «Non abbiamo soldi e non abbiamo contatti qui – spiega – e quindi aspettiamo». I due ragazzi si sono organizzati come meglio potevano: una coperta per pararsi dal sole e un paio di sacchi a pelo per passare la notte. Niente di più.
Non sono arrivati via mare e non sono stati intercettati dalla Polizia se non quando hanno deciso di inoltrare regolare domanda negli uffici di Varese. Una scelta che è costata loro molto cara. La legge che regola i centri di accoglienza per richiedenti asilo prevede infatti che a queste strutture possano accedervi solo quelle persone la cui nazionalità è ancora da verificare, quelle fermate (o soccorse) alle frontiere dell’Italia o quelle fermate in condizioni di soggiorno irregolare. Tutti gli altri devono fare da soli.
Ma la presenza di quei due ragazzi da giorni davanti alla Questura non è passata inosservata, specialmente agli inquilini dei palazzi vicini. «Ci hanno portato cibo, acqua e frutta – continua Iqrar – ma nessuno ha saputo dirci dove andare». Le organizzazioni di volontariato, le associazioni di migranti o i servizi sociali del Comune ancora non si sono accorte di loro e così al momento l’alternativa è una sola: la strada.
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