Malattie professionali in aumento. “Il medico di fabbrica è condizionabile”

Aumentano i tumori, le patologie del rachide, i casi di disagio e malessere da stress lavoro-correlato. In questo quadro, le donne sono più esposte degli uomini. Il patronato Inca ha fatto il punto della situazione con i rappresentanti della sicurezza della Cgil

inca Cgil

Sono in aumento le patologie neoplastiche (leggi tumori, ndr), le patologie del rachide e da sovraccarico biomeccanico, i casi di disagio e malessere da stress lavoro-correlato, legato a non adeguate condizioni di benessere organizzativo. In questo quadro, le donne sono più esposte degli  uomini. Le conclusioni della relazione di Duccio Calderini, responsabile Servizio igiene e sicurezza del lavoro dell’Asl Varese, intervenuto all’attivo dei rappresentanti della sicurezza della Cgil, hanno aperto ad una serie di ulteriori considerazioni sulla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali dei luoghi di lavoro.

I delegati per la sicurezza, dopo aver ascoltato con attenzione le relazioni, hanno rivolto alcune domande ai relatori, pubblicamente  apprezzati per la loro chiarezza. Oltre al già citato Calderini, erano presenti: Monica Pedretti, responsabile processo prevenzione Inail Varese, Daniele Bandi, direttore dell’Inca Cgil,  Massimo Balzarini della Cgil Lombardia, Salvatore Minardi (coordinatore dell’attivo), il segretario della camera del lavoro di Varese Umberto Colombo e Oriella Riccardi della segreteria provinciale della Cgil.

Secondo i dati Inail, nel terzo trimestre di quest’anno le malattie professionali sono state 43.385 a livello nazionale, con un incremento di 1,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nonostante l’evidenza dei numeri, la cifra nera, cioè i casi di mancata emersione, è ancora alta. Le ragioni di questa situazione sono da ricercare sia nell’insufficienza della pratica burocratica sia anche nel ruolo ambiguo giocato da alcuni operatori, come ad esempio il medico competente che opera all’interno dei luoghi di lavoro. Essendo pagato dal datore di lavoro la sua autonomia di giudizio è stata messa in discussione dagli stessi delegati. «Come è possibile – ha osservato una rls – che su 115mila visite siano emerse solo 20 malattie professionali, c’è qualcosa che non va». «È vero, il medico competente è una figura debole – ha risposto Calderini dell’Asl – perché è esposta al condizionamento da parte del datore di lavoro che gli paga la prestazione. In realtà basterebbe fare come la Francia, dove il medico competente viene pagato dalla cassa regionale e dall’organismo paritetico».

Monica Pedretti ha rilanciato l’importanza della denuncia della malattia professionale e di un maggiore coordinamento delle figure e degli organismi che intervengono nel processo di emersione della malattia professionale. «Spesso le persone non sanno di poter chiedere – ha detto la funzionaria dell’Inail – ecco perché stiamo insistendo tanto anche sul fronte della comunicazione rispetto a ciò che fa l’istituto. Noi parliamo con il sindacato, con le associazioni di categoria, con i medici e ogni volta che ci sono dei problemi particolari voi siete tenuti a segnalarli nell’interesse dell’istituto che è al servizio dei cittadini. Certo, sarebbe meglio che i medici competenti parlassero con i medici dell’Inail».

«Il nostro patronato Inca – ha commentato  Oriella Riccardi – conferma che il dato delle malattie professionali è sottostimato e che le donne pagano un prezzo molto alto. L’aumento dei tumori in Lombardia, dovuto all’uso di sostanze chimiche presenti nei processi produttivi, ci suggeriscono di indicare questi rischi nel Dvr (documento di valutazione rischi, ndr)».

Balzarini ha chiuso la mattinata, ribadendo che le questioni tecniche relative alle malattie professionali devono essere risolte a monte in quanto il problema è politico. «I contratti di lavoro – ha ricordato il segretario della Cgil Lombardia – non sono una  cosa a sé stante rispetto agli infortuni e alle malattie professionali».

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Pubblicato il 14 Novembre 2015
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