Comerio: “I vecchi schemi non funzionano più”

Il presidente di Univa fa il punto della situazione dell'accesso al credito delle imprese varesine

finlombarda

«Di fronte a un mondo della finanza, e nello specifico bancario, in forte trasformazione, non possiamo, come imprenditori, semplicemente stare fermi ad aspettare gli eventi. Non possiamo permetterci di essere spettatori passivi di dinamiche europee. Dobbiamo, invece, saper governare la nostra finanza. Altrimenti l’alternativa è che siano altri soggetti, con altre logiche e altri obiettivi rispetto a quelli dell’impresa, a decidere le sorti dei nostri business. E questo non è assolutamente possibile. Ecco dunque il vero big match che dobbiamo saper giocare da qui in avanti: il ripensamento dell’organizzazione delle nostre aziende. Dobbiamo imparare qualcosa di nuovo per poi poterlo applicare. Dobbiamo rimetterci in discussione, anche dal punto finanziario. I vecchi schemi non funzionano più. I vecchi schemi ci riportano a vecchi modelli». La parte finale del discorso di Riccardo Comerio, presidente di Univa, indica con chiarezza il desiderio di cambiamento del mondo imprenditoriale rispetto al rapporto con il sistema bancario per il finanziamento dell’impresa.

Il convegno organizzato con Finlombarda spa, la finanziaria di Regione Lombardia, aveva proprio lo scopo di aprire una nuova prospettiva rispetto all’accesso al credito e l’utilizzo di nuovi strumenti come i minibond, cioè obbligazioni emesse dalle imprese per finanziarsi.  (nella foto, da sinistra: Ignazio Parrinello e Massimo Brunelli, presidente e direttore di Finlombarda spa la finanziaria di Regione Lombardia)

L’affermazione di Comerio, rispetto al superamento di un vecchio schema, poggia su alcuni dati emersi da una ricerca fatta da Univa sull’accesso al credito delle imprese varesine da cui emerge un quadro che seppur in miglioramento mostra ancora alcune fragilità, in certi casi macroscopiche.

IMPIEGHI. Gli impieghi complessivi nel Varesotto ammontano a 20,7 miliardi di euro (dato Bankitalia di Novembre, ultimo disponibile). Di questi, poco più di 9 miliardi sono destinati alle società non finanziarie, ossia alle imprese. Il dato è in leggera crescita negli ultimi mesi, ma rimane lontano dai 10,69 miliardi di giugno 2011.

COSTI E COMMISSIONI. Nonostante i tassi di interesse siano ai minimi storici, la maggior parte delle imprese segnala che i costi accessori e le commissioni per l’accesso al credito rimangono costanti. Anzi, il 26% del nostro campione evidenzia un incremento delle spese.

TASSI MEDI. I tassi medi applicati in provincia da noi registrati si attestano sul 6,83% per lo scoperto di c/c, sul 2,53% per lo smobilizzo fatture, sul 2,68% per anticipi export.

TASSI MASSIMI. Eppure, nonostante, gli interessi ai minimi storici, registriamo punte di applicazione di tassi massimi di una certa importanza: del 18,5% sugli scoperti di c/c, dell’8,61% sullo smobilizzo fatture. Il 16% delle imprese segnala addirittura aumenti dei tassi applicati. Questo ci dice che c’è ancora un’ampia fascia di nostre imprese che accede con difficoltà, e comunque a costi crescenti, al credito bancario, nonostante il contesto generale delle condizioni sia in evoluzione positiva.

RAPPORTO CON LE BANCHE. Il 72% del nostro campione dichiara, infine, di non ricevere mai indicazioni dalla propria banca di riferimento su come migliorare la propria valutazione per evitare rifiuti, riduzioni o rientri dai fidi. Un rapporto dunque che evidenzia ampi margini di miglioramento.

«Dobbiamo passare – commenta il presidente di Univa – da un sistema banco-centrico, che vede la struttura finanziaria delle imprese italiane fatta per il 64,2% delle passività di debiti bancari, ad un sistema che riposizioni le imprese sul mercato. In questo senso faccio solo un esempio: i titoli obbligazionari rappresentano solo il 9% del debiti  finanziari delle imprese italiane, contro il 23% della Francia, il 30% del Regno Unito e il 50% degli Stati Uniti. Non possiamo inneggiare a modelli di sviluppo, come quello relativo alla Fabbrica 4.0, ampiamente ispirati a scenari come quelli della Silicon Valley o anglosassoni in generale, senza tenere presente i dati che evidenziano il gap che l’Italia ha, non solo da un punto di vista della conoscenza, ma anche finanziario. I nuovi campi su cui si gioca la nostra competitività presuppongono il riposizionamento delle aziende non solo da punto di vista tecnologico, ma anche e soprattutto di cultura finanziaria».

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Pubblicato il 08 Marzo 2016
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