Dissero “No” dopo l’8 settembre, premiati con la Medaglia d’Onore

Quattro internati nei lager nazisti insigniti oggi, 2 Giugno, della prestigiosa onorificenza. Ecco le loro storie

Avarie

Dobbiamo molto agli IMI, Internati Militari Italiani (Italienische Militär-Internierte) che dopo l’8 settembre 1943, spesso trovandosi fuori dal Paese e inquadrati nei reparti e con le divise delle forze armate italiane, vennero fatti prigionieri e posti di fronte ad una scelta: combattere al fianco delle forze dell’Asse, o venire deportati.

Nove soldati su 10 dissero no alla Repubblica Sociale Italiana e a Hitler che nel frattempo aveva dato l’ordine di occupare l’Italia.
Oggi, festa della Repubblica, quattro di queste persone – una non è più tra noi – sono state oggi insignite della Medaglia d’Onore. Ecco chi sono, ecco le loro storie.
Angelo Pezzotta, nato nel 1924 a Bolgare (BG) e residente a Somma Lombardo, arruolato nell’artiglieria alpina ha partecipato al secondo conflitto mondiale.
Nel 1943, arrestato dai militari tedeschi a Merano, è stato trasferito in Germania ed internato nel campo di concentramento di Braushweig e destinato al lavoro coatto presso le industrie aereonautiche Messerchmitt. Costretto a patire le angherie e le terribili condizioni del lavoro forzato ha subito anche la tragica esperienza della vita sotto i bombardamenti ed in conseguenza di uno di essi è stato seriamente ferito. Salvato e curato dall’umanità di un’infermiera, tuttora porta nel corpo le cicatrici di quel ferimento.
Al termine del conflitto è rimasto in Germania ancora per molto tempo, rientrando in Italia solo nel 1945 visibilmente provato e irriconoscibile.
Diversamente da altri cui è risultato molto difficile raccontare la terribile esperienza vissuta, Angelo Pezzotta ha avuto ed ha la forza di testimoniare ai suoi figli e nipoti la sua storia.

Giuseppe Alfieri, nato a Uboldo nel 1915, allo scoppio della seconda guerra mondiale fu arruolato in un Reggimento di Fanteria e destinato al fronte alpino occidentale.
Ricoverato all’Ospedale di Saluzzo nel 1940 per un congelamento ai piedi, dopo la guarigione nel 1941 fu inviato in Albania e di seguito in Grecia. Due giorni dopo l’armistizio, il 10 settembre 1943, è stato catturato dalle truppe tedesche e trasferito in Germania, prima in Prussia poi in un campo di concentramento in Bassa Sassonia, costretto al lavoro coatto in una fabbrica metallurgica.
Delle privazioni e delle angherie subite per qualche tempo Giuseppe Alfieri, eludendo la censura, è riuscito a dare notizia ai suoi familiari.
Purtroppo la sua salute non ha retto alle terribili condizioni di vita e ammalatosi di tubercolosi è morto nel campo di concentramento il 29 agosto del 1944.
Nel 1970 grazie all’impegno e all’amore dei familiari è stato possibile riesumare le spoglie e trasportarle nel cimitero del paese natio ove ora riposano.

Giuseppe Cecatello, nato a Napoli nel 1919, durante l’occupazione nazista diquella città, nel 1943 eroicamente ha permesso la liberazione del proprio padre, arrestato dai tedeschi, offrendosi volontariamente al suo posto pur dovendo lasciare così la propria moglie Virginia a quell’epoca in gravidanza. Deportato in Germania fu destinato al lavoro coatto in un campo agricolo fino al 1944 e successivamente trasferito a Dresda per essere occupato in un impianto industriale.
Dopo la liberazione, nel settembre del 1945 ha potuto far rientro in Italia, riabbracciare lasua famiglia e conoscere suo figlio che nel frattempo aveva compiuto due anni.
Gli anni della deportazione sono stati per Giuseppe Cecatiello una esperienza tragica ed indelebile di cui con sofferenza ha tramandato il ricordo a tutti i familiari.

Antonio Racioppo, nato a Deliceto (FG) nel 1923, arruolato nell’esercito italiano, partito da Barletta, fu destinato al fronte greco nel settembre del 1942.
Nel settembre del 1943, dopo l’armistizio, il suo reparto, decimo Reggimento Fanteria, avendo dichiarato fedeltà al Re è stato privato della libertà dai tedeschi che dopo averne fucilato gli Ufficiali ne hanno deportato tutti i componenti, compreso Antonio Racioppo, nei lager in Germania.
Come per molti casi analoghi, il sig. Racioppo non ha mai voluto raccontare nulla della sua prigionia, preferendo trattenere i propri ricordi forse per non dover rivivere quei terribili momenti di sofferenza.
Anche per lui possiamo solo immaginare la drammaticità degli eventi in cui è stato coinvolto.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 02 Giugno 2016
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