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Tra i migranti di Como che sognano la Germania
Sono circa 300 fuori dalla stazione San Giovanni, tra uomini, donne e bambini. Vengono respinti al confine svizzero perché senza documenti. Vivono da settimane in un limbo
Il confine svizzero è a soli quattro chilometri, eppure non riescono passarlo. C’è chi prova in treno, chi a piedi sui binari, oppure per i sentieri che una volta usavano i contrabbandieri. Ma tutti i passaggi sono strettamente presidiati dalle forze dell’ordine svizzere, anche quelli non ufficiali sono tenuti sotto controllo con i droni che perlustrano tutto il confine. E così, a questi uomini, donne, bambini e ragazzi, tutti migranti, non resta che tornare indietro e trovare un posto sicuro dove dormire. Questo posto sicuro è la stazione San Giovanni di Como.
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Arrivano dall’Eritrea, dalla Guinea, dall’Etiopia, dal Sudan, dalla Somalia, dal Sahara Occidentale. Nel corso delle ultime settimane il numero è salito fino a 300 persone che si radunano di fronte alla stazione, sotto il portico o nel parco. Sono accampati come possono, tra coperte, panni stesi e un paio di palloni per passare il tempo. C’è anche una fontana pubblica, ormai diventata il lavatoio dell’improvvisato accampamento. «Ed è una fortuna che ci sia, almeno possono lavarsi – spiega una volontaria della Croce Rossa che non vuole dire il proprio nome, ma che racconta la situazione -. Il numero dei presenti è salito tantissimo in questi giorni, crediamo ce ne siano 300. La condizione sanitaria è sotto controllo, ma è ai limiti».
I volontari della Croce Rossa si sono autorganizzati tramite Facebbok e Whatsapp: sono una dozzina di infermieri e due dottori; sono presenti su due turni, uno al mattino e uno alla sera, per visitare le persone che hanno bisogno di cure o si una semplice visita: «Siamo italiani e svizzeri e cerchiamo di dare una mano insieme alle altre associazioni della città, ma non c’è un vero e proprio coordinamento». Anche la Caritas è presente tutte le mattine per portare qualcosa da mangiare a colazione e anche la sera, per fornire un pasto caldo. A mezzogiorno, invece, molti di questi migranti vanno alla vicina parrocchia Sant’Agata, dove c’è una mensa dei poveri che sta fornendo assistenza.
![Al campo dei migranti a Como 1](https://staging.varesenews.it/photogallery_new/images/2016/08/al-campo-dei-migranti-a-como-1-557628.610x431.jpg)
Ma chi sono le persone che ormai da settimane vivono in queste condizioni? Hanno età diverse, ci sono anche bambini di 3 anni e moltissimi ragazzi e ragazze minorenni. Quasi tutti dicono di avere 18 e 20 anni, ma altri raccontano che non è vero, come spiega Amza, 15 anni, dall’Etiopia, con poche parole in inglese: «Non è vero, ci sono tantissimi ragazzi come me». Amza è insieme all’amico Abdul, 21 anni, e quando gli si chiede da dove scappano, non rispondono, tirano fuori un telefono cellulare tutto rotto e mostrano la foto di un cadavere, steso a terra, con la testa fracassata: «In Etiopia is badly» dice solamente Abdul.
È difficile trovare qualcuno che parli inglese. Anche le infermiere fanno fatica a comunicare, pochissimi migranti riescono a fare da traduttori tra italiano, inglese e arabo. Tutti quelli che riescono a rispondere a qualche domanda dicono di essere scappati perché temevano per la propria vita. «Ho lasciato la mia famiglia – dice un altro Abdul, 25 anni – e adesso sono bloccato qui, senza poter arrivare in Germiana. È ricca la Germania, ecco perché vogliamo andarci».
Qualcuno invece la famiglia l’ha portata con sè. Ande sorride solo quando guarda il figlio: dice solo di essere arrivato dall’Etiopia, abbraccia il piccolo Mutar 3 anni che sta facendo un disegno con l’infermiera volontaria Mihaela: «Lui con me» dice in uno stentato inglese. Ma non racconta le motivazioni della fuga.
Nel parco, intanto, si gioca a calcio, pallavolo, si lavano i vestiti o si dorme. Ci sono anche altri bambini. Come Sabrina e Ibrahim, 5 e 4 anni. Cercano di giocare con la macchina fotografica, gli adulti vicino dicono loro di non farlo, sono attenti e scrupolosi. È un altro gruppo che arriva dall’Etiopia: sono in Italia da quattro settimane, ma non dicono nulla sul loro passato, solo su dove devono andare: la Germania.
«Abito a Como da 37 anni – continua l’anonima infermiera – e non ho mai visto una cosa del genere. È incredibile che queste persone vengano lasciate alla bontà di associazioni e volontari che si autoorganizzano, che vengano respinti al confine e abbandonati in questo limbo. Noi facciamo quel che possiamo».
«Il confine è lì, si può vedere da qui talmente è vicino – aggiunge Mario Civati, un volontario della protezione civile -. Eppure è così lontano per tutti loro. Sono persone senza documenti, non sono nemmeno richiedenti asilo. Come possiamo gestire questa situazione senza supporto delle istituzioni? Qualcuno del Comune è passato di qui ieri, ma è sparito subito». Un passante è appena arrivato a portare delle attrezzature da campeggio: «Non le usavo più, forse qui ne hanno più bisogno. Anche se so che non può bastare, ho dato il mio contributo. E le istituzioni?»
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