Il referendum è stato una grande lezione di educazione civica

Il costituzionalita Giuseppe Arconzo e l'avvocato Riccardo Conte si sono confrontati sulla riforma di fronte a un numeroso pubblico nella serata organizzata da Aiga, l'associazione dei giovani avvocati

Referendum costituzionale

A pochi giorni dal voto per il referendum sulla riforma costituzionale, continuano con intensità i confronti pubblici tra le ragioni del “Sì” e quelle del “No”. All’Istituto traduttori e interpreti di Varese, nella serata organizzata da Aiga (Associazione italiana giovani avvocati), si sono confrontati il costituzionalista  Giuseppe Arconzo, docente dell’Università degli studi di Milano e sostenitore del “Sì”, e l’avvocato Riccardo Conte sostenitore del “No”. Di fronte a un numeroso pubblico i due relatori hanno dato vita a un confronto tecnico, centrato sui contenuti e sul merito della riforma.
(Nella foto, i rappresentanti di Aiga con i due relatori)

Il cuore della discussione si è concentrato sui due principali aspetti della legge Renzi-Boschi: da una parte, il nuovo assetto del senato e il superamento del bicameralismo perfetto, dall’altra, la riforma del titolo V relativo alle autonomie locali, che ridisegna in modo profondo i rapporti tra Stato e Regioni.

Arconzo e Conte hanno ripercorso per tappe la storia delle riforme. Se è vero che nei primi quindici anni del nuovo millennio si sono concentrati gli unici tre referendum costituzionali (2001, 2006 e 2016) della storia della Repubblica, è altrettanto vero che la Costituzione ha avuto nel corso dei suoi quasi 70 anni di esistenza numerose riforme, tutte però approvate con il procedimento ordinario previsto dall’articolo 138. Ciò che potrebbe spiegare la divisione creata dall’attuale riforma e dalle due che l’hanno preceduta, è il clima della legislatura in cui sono state approvate, dove sulla condivisione ha prevalso il ruolo guida esercitato dal governo e dalla maggioranza che lo sostiene. D’altronde, nel corso degli ultimi trent’anni l’istituzione di più commissioni speciali per porre mano al testo costituzionale, a partire da quella di Aldo Bozzi (1983-1985) fino alla più recente di Gaetano Quagliarello (2013), passando per la commissione presieduta da Ciriaco De Mita e Nilde Iotti (1992-1994) e quella di Massimo D’Alema (1997-1998), non hanno mai prodotto una legge.

A dividere maggiormente i due schieramenti è il nuovo Senato, ridisegnato dalla riforma, e soprattutto il futuro ruolo dei 100 senatori, 95 dei quali eletti tra i consiglieri regionali (74) e i sindaci (21). «Chi dovrebbero rappresentare questi cento senatori? Non la nazione intera, per le modalità con cui saranno eletti. Eppure continueranno a decidere su materie di portata nazionale» ha sottolineato Conte.

La riforma del senato, secondo Arconzo, ha un obiettivo principale: portare al centro la voce e le istanze delle Regioni e dei Comuni. «Il testo riformato – ha spiegato il costituzionalista – valorizza le istanze territoriali e al tempo stesso riduce le potenziali ragioni di contrasto tra Stato e Regioni. Il nuovo senato diventerà il luogo in cui i bisogni dei territori si confronteranno con quelli dello Stato centrale».

I due relatori hanno riconosciuto che questa estenuante campagna referendaria, durata ben otto mesi, al netto delle polemiche, è stata «una grande lezione di educazione civica», perché ha costretto moltissime persone a interessarsi della Costituzione e a leggerne il testo. Per il dopo voto non si prevedono scenari apocalittici: o si procederà su un nuovo binario, oppure tutto continuerà come prima. Ci saranno invece delle conseguenze politiche, com’è naturale che sia, anche a causa dell’eccessiva personalizzazione della consultazione.  «Se fossi stato in Renzi – ha concluso Arconzo – avrei detto: “Mi dimetterò sia che vinca il Sì sia che vinca il No».

 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 30 Novembre 2016
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