Angelo Montonati, inviato per conto di Dio
Dopo un'esperienza nella "Prealpina" nel 1963 inizia una brillante carriera nell’ambiente mediatico cattolico sino a seguire come inviato i viaggi papali. Tra qualche settimana uscirà il suo nuovo libro sui martiri della guerra di Spagna
Grande scuola di giornalismo sono sempre state le piccole testate di provincia dove si impara a conoscere quasi tutto dei segreti della professione e si acquisisce quello spessore che permette il balzo nei “giornaloni” e una carriera di eccellente livello.
Grazie alla “Prealpina” e poi anche all’irruzione nel mercato di battagliere radio, della televisione e in questi anni del web, Varese da molto tempo è rappresentata al meglio nel mondo nazionale della comunicazione e dell’informazione. Di questo balzo nel grande circuito della stampa è stato ed è uno dei protagonisti un caro collega, Angelo Montonati che lasciò la “Prealpina” nell’estate del 1963 per una gratificante avventura che lo avrebbe visto scalare l’ambiente mediatico cattolico sino a seguire come inviato i viaggi papali.
Angelo Montonati, fratello del poeta bosino Carlo, molto amato dai varesini e scomparso nel febbraio dello scorso anno, dopo le esperienze romane avrebbe continuato nel suo impegno professionale con attività preziose non solo per il grande popolo cristiano di stampa e radio, ma essendo egli anche un eccellente scrittore avrebbe riversato esperienze, studi e ricerche, in una grande raccolta di libri che, con freschezza e capacità di impatto tipiche di un eccellente giornalista, hanno sempre dato al lettore l’opportunità di approfondimenti storici e religiosi. Ne parliamo con lui.
Quando e perché hai iniziato la tua stupenda collana?
«Ho cominciato nel 1976, anno in cui i Salesiani – presso i quali ho studiato da ragazzo dalla V elementare fino al termine del liceo – festeggiavano il centenario delle loro missioni, e insieme al collega di “Famiglia Cristiana” Claudio Ragaini ho scritto il volume intitolato “Continente uomo”, che ebbe un paio di edizioni. Poi nel 1981, siccome a quell’epoca facevo la rivista della Provincia Lombardo-Veneta dei Fatebenefratelli, dopo un viaggio con alcuni dei loro frati in Africa, scrissi il libro “Morire in Africa, morire per l’Africa” in cui parlavo dei loro ospedali e del gran bene che fanno laggiù. Il volume fu presentato alla TV il lunedì di Pasqua da Pippo Baudo. E sempre per i frati ospedalieri scrissi le biografie di due loro santi: il medico Riccardo Pampuri e Benedetto Menni, un milanese restauratore dell’Ordine in Spagna. Così cominciai ad appassionarmi alle vicende di questi straordinari personaggi e parlai di Santa Francesca Romana in un volume che dal 1983 al 2008 ebbe ben cinque edizioni, una delle quali con la prefazione di Giulio Andreotti che aveva fatto degli studi su questa donna. Da allora venni contattato da numerose congregazioni per scrivere dei loro fondatori o fondatrici (una dozzina di donne e una ventina di uomini) o di personalità famose per la loro santità. Altri libri riguardano caratteristiche della vita religiosa, come Due volte Fratello, che parla dei fratelli coadiutori comboniani; viaggi missionari come Amazzonia: pane, amore o.. fantasie?; interviste su realtà di cui è importante parlare: Tra cielo e terra Radio Maria (cinque edizioni dal 1996 al 2012) con padre Livio Fanzaga; Don Bosco ritorna, con don Egidio Viganò, allora Rettore Maggiore dei Salesiani; Due vite per la vita, con John ed Evelyn Billings, ideatori del Metodo dell’Ovulazione per il controllo naturale della natalità; Il sapore dell’utopia, storia della Comunità di Sant’Egidio attraverso colloqui coi fondatori. Di mia iniziativa scrissi un volumetto commentando alcune parabole del Vangelo, dal titolo L’anticamera del Regno, che fu tradotto in spagnolo e in inglese; inoltre, su invito di mons. Macchi, in occasione del Grande Giubileo del 2000 scrissi il libro intitolato Santa Maria del Monte, in cammino sulla Via Matris, una guida per visitare il Sacro Monte di Varese».
Ci puoi parlare dell’ultimo, il cinquantesimo libro?
«Si intitola “La Betlem degli ultimi nella Roma del Seicento”, è la storia di Anna Moroni e padre Cosimo Berlinsani, fondatori della congregazione degli Oblati del Bambino Gesù, edito nel 2014. Ma non è l’ultimo, perché tra qualche settimana uscirà quello sui 95 Fatebenefratelli massacrati dai comunisti durante la guerra di Spagna (1936-1939), mentre recentemente ho ultimato la vita del dottor Martin Benedict, un medico romeno che durante la dittatura comunista di nascosto si era fatto francescano e sacerdote ma, essendo stato scoperto dai Servizi Segreti durante un pellegrinaggio fatto in Italia, fu bersagliato in ogni modo tanto da morire prematuramente».
Puoi accennare alle difficoltà delle ricerche, della raccolta di dati e di notizie sui protagonisti delle tue biografie?
«Devo dire che difficoltà ne ho avute poche, perché generalmente si tratta di personaggi per i quali è in corso un processo di beatificazione e la documentazione datami è non solo abbondante, ma sicura. Del resto, sono abituato a scrivere soltanto su notizie certe datemi da persone su cui posso fare affidamento. Se mi mancava qualcosa, mi recavo io sul posto per completare il tutto».
La fase più delicata è la stesura del racconto che però, se bene ti conosco, diventa per te gioiosa e veloce, come accadeva in redazione al tuo ritorno con una bella preda nel carniere da cronista. E certamente è accaduto nei tuoi anni alla “Radio Vaticana”, a “Famiglia Cristiana”, a “Jesus” e in tutte le occasioni mediatiche che ti sono state offerte…
«Io cerco di scrivere da cronista allo scopo di farmi leggere; alla “Prealpina” avevo imparato a farlo e ho continuato così, perché parlando dei santi ci sono cose estremamente interessanti da raccontare, ma bisogna usare lo stile con cui si fa la cronaca. Da molte recensione dei miei libri ho constatato che questo ha impressionato positivamente i lettori. Un esempio per tutti: il cardinale Ratzinger – che nel 2005 sarebbe stato eletto Papa – nella prefazione al mio volume sul fondatore dei Barnabiti, S. Antonio Maria Zaccaria, nel 2002 ha affermato: «Lo scrittore Angelo Montonati ha saputo operare una sintesi rigorosa e brillante della vita, degli insegnamenti di questo autentico uomo di Dio…..ed ha descritto con efficacia la sua azione… Grazie a questa nuova biografia Antonio Maria Zaccaria è diventato a noi più vicino e familiare». Un giudizio che allora mi riempì di gioia».
Per gli scrittori, l’editore è un supporto decisivo e tu te lo sei conquistato sul campo.
«Devo dire che i miei libri sono nati sempre (salvo quello sulle parabole di Gesù che è stato un capriccetto mio) dietro richiesta di congregazioni religiose che avevano già trovato l’editore disposto ad accontentarle: in gran parte per me furono le Edizioni Paoline e la San Paolo, oltre all’Ancora, alla EMI, alle Edizioni Fatebenefratelli, alla Editrice Monti, alla Elledici-Velar e alla Sugarco. In una ventina di casi, inoltre, i mei libri sono stati tradotti in diverse lingue (francese, spagnolo, portoghese, inglese, tedesco, serbo-croato, cinese, amarico (per l’Eritrea) e russo)».
Ci sono sempre i figli prediletti, ma penso che i tuoi santi li ami tutti. Vuoi indicarci almeno quelli che sono stati i più difficili da scovare e dove si celavano?
Difficili da scovare non ne ho avuti, perché come ho detto prima io non li ho cercati, ma sono stato cercato da loro. Un paio di volte il problema mi è sorto dopo una prima lettura del materiale di cui disponevo. Mi capitò nel caso della Beata Ulrica Nisch, una suora di Carità della Santa Croce, una congregazione tedesca che ha una casa a Varese e un’altra a Besozzo. Quando lessi la sua vicenda, mi parve poco consistente, tanto che dissi a colui che mi aveva portato li materiale: «Ma qui non c’è niente, che cosa scrivo?». E lui mi rispose: «Legga bene e legga tutto, vedrà che cambierà idea su quel niente!». E infatti, dopo aver esaminato con attenzione il tutto, mi convinsi che valeva la pena di scrivere e diedi al volume questo titolo significativo: “Il segreto di Suor Niente”, che ebbe successo, venendo tradotto in francese e anche in cinese».
Varese ha attenzione al libro e al suo mondo. Tu hai una singolare unicità come scrittore e sei bene accettato anche dai laici della cultura per l’originalità dei temi trattati e per la tua capacità comunicativa. Scommetto che non hai pensato a un tuo ritorno… a casa come autore…
«Essere accettato bene anche dai laici dipende dal fatto che molti dei santi o beati o servi di Dio sono persone che hanno passato la vita facendo del bene al prossimo: hanno creato ospedali, scuole e strutture per i poveri, aiutando ogni categoria di bisognosi. Durante una delle trasmissioni che, dal 1996, faccio a Radio Maria ogni prima domenica del mese, rispondendo ad un ascoltatore dissi che se i Savoia, Cavour e Garibaldi hanno fatto l’Italia, a fare gli italiani sono stati oltre un centinaio tra fondatori e fondatrici (citai Don Bosco, il Murialdo, i marchesi di Barolo, don Guanella, il Cottolengo, la marchesa di Canossa, padre Annibale di Francia, Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, il Calasanzio che fondò la prima scuola gratuita per i poveri a Roma, Camillo de Lellis e altri che hanno creato in Italia ospedali, scuole, collegi per orfani, laboratori professionali, alfabetizzando e avviando al lavoro milioni di figlie e figlie della povera gente in città e paesi dove mancavano strutture del genere. Dopo quella trasmissione ricevetti decine di lettere in cui mi si ringraziava per aver parlato di una realtà che molti non conoscevano. E alcuni degli scriventi si dichiaravano laici, ma riconoscevano onestamente lo straordinario contributo dato da questi grandi italiani allo sviluppo civile del nostro Paese. Quanto ai santi preferiti, sono talmente tanti i carismi che non mi sento di fare differenze, li onoro e li prego tutti e sento che mi aiutano davvero. Con Don Bosco ho un rapporto speciale perché coi Salesiani ho trascorso gli anni più belli della mia giovinezza. Quanto ad un mio “ritorno a casa come autore”, ho pubblicato nel 2013 con l’editrice Velar-Elledici una breve biografia di mons. Macchi (titolo: Mons. Pasquale Macchi, nel solco luminoso di Paolo VI”, che conoscevo da ragazzo perché abitava ad una quarantina di metri da casa mia. La prefazione l’ha fatta il cardinale Attilio Nicora, altro mio “comparrocchiano”, la cui mamma andava sovente a Messa con mia mamma».
Hai lasciato Varese nel 1963, oggi vivi vicino a Milano. Come la ricordi la città ?
«Ho sempre avuto e conservo tuttora un affetto speciale per Varese e provincia, dove ho ancora dei parenti a cui sono particolarmente legato. Non ho brutti ricordi anche se con la morte di mio papà quando io avevo poco più di un anno, la mia famiglia ha passato momenti difficili; ma c’erano i nonni e gli zii che ci hanno dimostrato un grande affetto e tutto è andato avanti bene. Poi è arrivato il lavoro alla Prealpina e da lì gli orizzonti si nono ampliati consentendomi di formarmi nella professione che mi ha offerto nuove possibilità di un lavoro creativo. Coi colleghi mi sono sempre trovato bene, sono stati veri amici; anche per questo ho aderito subito alla Associazione dei Pensionati del nostro quotidiano e non manco mai agli incontri che vengono programmati. Tra le personalità che ricordo con particolare riconoscenza – oltre a mons. Macchi e al cardinale Nicora – citerei il maestro Conti, organista di San Vittore (io e mio fratello facevamo parte del coro), che mi incoraggiò nello studio della musica e mi fece conoscere anche l’organo (oggi sono l’organista della mia parrocchia), il prof. Bulferetti dell’Ateneo Prealpino che mi spinse a scrivere anche un libretto per lui che però non fu pubblicato perché il prof si ammalò; gli amici della “Famiglia Bosina” che, grazie anche a mio fratello ed alle sue poesie e commedie in dialetto mi hanno coinvolto in una collaborazione al “Calendario” annuale; purtroppo, per una forte maculopatia non ho fatto in tempo a preparare l’articolo per quest’anno sul gesuita varesotto padre Giacomo Martegani, direttore della Radio Vaticana quando vi lavoravo io. E non ho mai dimenticato il direttore della “Prealpina” Gandini, la collega Annamaria Gandini, il sempre caro Morgione e chi mi sta intervistando».
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