La forza della provincia? Sfruttare il particolare con “la regola di Balzac”
I limiti di una cittadina per chi vuole fare l’artista, ma anche la potenzialità di coglierne i particolari per rendere grande la propria ispirazione. L’opinione di Mauro della Porta Raffo, e Francesco Pellicini
Una parola: triste. E si è scatenato l’inferno. Tutti che parlano della città lacustre che triste non è; anche perché molti, sul lago, con quell’aura di piccolo mare che fa godere anche la malinconia, ci trovano l’ispirazione.
Abbiamo cercato di sapere cosa ne pensa un grande laghé, Davide Van De Sfroos, cantore del Lago (di Como), delle sue genti, dei suoi dialetti e persino dei suoi venti, anche se preferisce non commentare. Ma l’estate scorsa in un’intervista al Corriere della Sera parlava del lago come luogo che «non fa sconti. Ti abbranca nel bene e nel male. E ti scolpisce»; una simbiosi forte, perché «chi nasce nei piccoli paesi sulle sponde lariane quando cresce ha l’esigenza di spostarsi, andare in una grande città», ma poi anche di fare ritorno per seguire il richiamo dell’acqua, veniva scritto.
Già, la città e il paese. Il lago e la pianura, al centro della quale c’è la tanto amata e odiata città di mezzo, dove però, recitava un vecchio adagio in milanese, chi le volta le spalle rischia di rinunciare al pane (o giù di lì: la frase giusta è “Chi volta il cù a Milan, volta il cù al pan). E anche gli artisti devono mangiare.
Il senso di questo ragionamento lo esprime bene lo stesso Francesco Pellicini, luinese fino al midollo, attore e direttore di teatro. Anche lui era stato coinvolto nel servizio di Repubblica: venne intervistato su Dario Fo, ma il suo contributo non è stato poi inserito nel servizio. «E meno male, con tutto il casino che è successo!», dice divertito al telefono, «è stato di certo meglio restarne fuori. Battute a parte, i tre comici intervistati sono amici, e ci sentiamo anche spesso. Di questa storia posso dire due cose. La prima è che sono stato molto colpito di come la città abbia risposto, di come i lunensi abbiano espresso l’orgoglio di rivendicare la loro appartenenza ad un posto che hanno scelto per vivere. E che evidentemente li tocca nel cuore. Poi esiste una considerazione di fondo su quelle affermazioni, che a mio avviso vanno lette anche dal punto di vista artistico: la provincia è un luogo difficile per alcune professioni, e la carriera teatrale o cinematografica ne è un esempio. Per crescere e affermarsi, prima o poi ci si deve muovere».
Quello dello spostamento verso Milano, ma anche in un altrove più vivo dal punto di vista artistico è un tema ricorrente anche nelle battute di un altro conoscitore di Luino e di uno dei suoi principali interpreti letterari, Piero Chiara.
Mauro della Porta Raffo cita una vecchia storia, «ricordo una frase emblematica per Luino: si diceva che questo posto ha davanti il lago e dall’altra parte la montagna: se hai un pensiero che ti esce dalla testa, la montagna te lo fa tornare indietro. È solo una storia, ma a qualcuno potrebbe fare questo effetto. A me no: amo Luino, e quello che si respira. La amo a tal punto che voglio la cittadinanza onoraria – dice sorridendo – . Mi piace il suo lungolago e il Metropole, che presto tornerà nuovo».
Ma non si chiama palazzo Verbania? «Per me resta sempre il Metropole, come nei libri di Chiara». Già, Chiara, lui dal lago trovava l’ispirazione per i suoi racconti. «Esatto. Per questo citava spesso la frase di Balzac: “Devi parlare del tuo particolare per essere universale”. Ma devi farlo da un palcoscenico giusto. Piero Chiara, che abitava a Varese, veniva comunque sempre a Luino almeno un giorno la settimana».
Forse lo faceva per rigenerarsi, o per cercare l’ispirazione. Stentiamo a credere che lo facesse per tornare in città più triste di prima.
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