
Al processo Lidia Macchi sfileranno i ragazzi degli anni 80
Depositate le liste testi: più di 400 nomi. Per gli ex amici della vittima sarà una momento delicato. Chiamati anche medici, sacerdoti e poliziotti

Una valanga di testimoni e consulenti, a occhio almeno 300 persone, parteciperà al processo che si aprirà il 12 aprile contro Stefano Binda, l’uomo accusato di aver violentato e ucciso Lidia Macchi. La corte d’assise di Varese si troverà subito di fronte a un primo problema: quello di valutare l’ammissibilità di tutti questi testimoni. Le liste presentate dagli avvocati hanno numeri ingenti: sono 283 le persone indicate dalla parte civile della famiglia Macchi, 99 quelle della difesa di Binda (avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito) e 86 quelli del pubblico ministero Gemma Gualdi. In realtà diversi nomi nelle liste dei testi si ripetono e dunque per avere il numero complessivo non si possono sommare tutte queste cifre.

Tra le persone citate vi sono poliziotti, medici, genetisti, biologi. Una parte del processo sarà dedicata alla perizia grafologica sulla prova che l’accusa considera decisiva e cioè la poesia “In morte di un’amica” che sarebbe stata scritta da Stefano Binda e che descriverebbe la scena del delitto.
La parte civile (avvocato Daniele Pizzi) ha citato anche gli investigatori dell’epoca. Inoltre ha cercato di rintracciare più persone possibile tra quelle che nel gennaio del 1987 si trovavano alla gita di Comunione e liberazione, a Pragelato, dove Binda afferma di essere stato il giorno della morte della ragazza (5 gennaio 1987).
L’avvocato Daniele Pizzi ha indicato come teste anche il giudice che distrusse i vetrini con le tracce di dna dell’assassino. La famiglia Macchi vorrebbe chiarire una volta per tutte come maturò la distruzione fortuita di quelle prove, anche se il gip Ottavio D’Agostino ha già dichiarato che rispose a una richiesta delle cancellerie: gli presentarono un elenco meramente numerico dei reperti e, dunque, non essendoci indagati nel fascicolo in quel momento non vi era l’obbligo della conservazione.
(L’imputato, Stefano Binda, arrestato il 15 gennaio del 2016)
Tra le testimonianze richieste vi saranno anche quelle legate a tutti coloro i quali si trovavano nei luoghi dove Lidia transitó la notte in cui morì, compreso chi era presente quella sera all’ospedale di Cittiglio (dove Lidia andò a trovare un’amica). Sarà chiamato in aula anche l’uomo che all’epoca venne sospettato, il prete don Antonio Costabile, successivamente scagionato, la cui posizione è definitivamente chiusa.
Di certo, scorrendo gli elenchi emerge come il processo darà alla città un incredibile racconto collettivo di una generazione di ragazzi che vissero l’esperienza del movimento di Comunione e liberazione e che oggi sono padri e madri di famiglia. Ognuno di loro sarà chiamato a ricordare un particolare, una frase, un momento passato con Lidia o con Stefano Binda. Varese farà i conti con la più brutta delle storie.
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