
Processo Lidia Macchi: un testimone dice di aver scritto la lettera che accusa Binda
E' iniziato il processo in corte d'assise per l'omicidio della studentessa, 30 anni dopo il delitto. Imputato Stefano Binda. In aula anche la madre di Lidia, Paola Bettoni
Il processo contro Stefano Binda inizia con un colpo di scena: la lettera inviata alla famiglia di Lidia Macchi nel 1987 e che secondo la procura generale di Milano sarebbe stata scritta dall’assassino della studentessa, non sarebbe in realtà opera dell’imputato del processo iniziato oggi a Varese in corte d’assise.

Lo sostiene l’avvocato difensore dell’uomo, Patrizia Esposito, che in aula, a margine della prima udienza in corso questa questa mattina ha affermato di essere stata contattata, nei giorni scorsi, da un avvocato di Brescia il quale rappresenta un uomo che si attribuisce la paternità dello scritto. L’uomo sarà ascoltato in aula durante il processo.
E’ iniziato questa mattina (mercoledì 12 aprile) il processo in corte d’assise per l’omicidio di Lidia Macchi, la studentessa di Varese assassinata il 5 gennaio del 1987 a Cittiglio.
Prima dell’inizio dell’udienza è accaduto un episodio inusuale: il pm Gemma Gualdi ha stretto la mano all’imputato, Stefano Binda, e si è intrattenuta con lui per alcuni minuti, conversando, alla presenza degli avvocati difensori Sergio Martelli e Patrizia Esposito. Alla fine di un colloquio di qualche minuto Binda ha ringraziato il magistrato che sosterrà la pubblica accusa.
Binda è elegante, cortese, appare dimagrito, con una barba ben curata. Camicia bianca, giacca scura. La giuria è composta da cinque donne e un uomo, guidata dal Presidente della sezione penale del tribunale di Varese Orazio Muscato e dalla giudice a latere Cristina Marzagalli.
Le parti civili sono tre: Paola Bettoni, madre di Lidia e i fratelli Stefania Macchi e Alberto Macchi.
Il presidente ha autorizzato le riprese in aula, ma ha vietato agli operatori tv di riprendere l’imputato. Il difensore Sergio Martelli si era opposto alla riprese video spiegando che già nella fase delle indagini era stata commessa una violenza mediatica contro l’imputato, con una attenzione eccessiva che ha danneggiato il processo.
Video
TAG ARTICOLO
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
mike su La neve in montagna continua a sciogliersi. Contro la siccità si aspetta la pioggia
Felice su La festa "techno" nei boschi di Lonate Ceppino causa proteste
Rolo su Pullman in sosta con i motori accesi, la segnalazione e la risposta di Autolinee Varesine
lenny54 su "C'è del dolo nelle modifiche al Superbonus"
Felice su Architetti, geometri, ingegneri e costruttori all'unisono: "Da Super Bonus a Super Malus"
Felice su Dentro la loggia del Battistero di San Giovanni a Varese restituita alla città
Eppure il GIP, sulla base delle perizie fornite da psicologi, criminologhi e grafologi su quella lettera attribuita a Binda, era arrivata a scrivere di “intento distruttivo della donna considerata causa di un rapporto sessuale vissuto come tradimento del proprio ossessivo e delirante credo religioso”. Chiunque in buona fede avrebbe potuto capire che quella non era la grafia di Binda. E allora perché tutta questa farsa?