Togliere il test a medicina? “Ci vogliono più docenti, aule e ammalati”

La nuova proposta del Governo: abolire il test d'ingresso universitario. "È possibile, ma ad alcune condizioni", spiega il rettore dell'Insubria Coen Porisini

test d'ingresso per medicina

Accesso libero al corso universitario di Medicina. La misura annunciata nel resoconto finale del Consiglio dei ministri su decreto fiscale e manovra economica ha scatenato immediate reazioni. Prima fra tutte quella del Ministro all’Istruzione Marco Bussetti che ha ammesso, ai cronisti che gli chiedevano conto, di non saperne nulla.

La decisione è stata poi ridimensionata da un’ulteriore nota del Consiglio dei Ministri con cui si rinvia l’abolizione dopo un confronto tecnico tra i ministeri competenti e la Conferenza dei Rettori delle università italiane, per prevedere un percorso graduale di aumento dei posti disponibili, fino al superamento del numero chiuso.

Ma come mai tanta cautela dopo un annuncio così importante?

Lo spiega il Rettore dell’Università dell’Insubri Alberto Coen Porisini: « A me il dibattito ideologico “test” sì o no, non appassiona. L’unica cosa che mi interessa è che la qualità dell’offerta didattica rimanga elevata».

Ma quel è il nesso? « Avere più studenti vuol dire avere più docenti, perché occorre duplicare, triplicare e anche quadruplicare i corsi. Avere aule più capienti e, dal terzo anno, avere più medici ospedalieri che seguano la preparazione degli studenti».

Tutte cose che, attualmente, non ci sono. Se, all’improvviso, l’Insubria passasse dagli attuali 160 studenti ai quasi 600 che si erano iscritti non avrebbe spazi sufficienti dove accogliere i ragazzi per i primi due anni di lezioni che sono solo d’aula: « Il meccanismo attuale di accreditamento di un corso di laurea inoltre – chiarisce ancora Coen Porisini – determina il numero di professori in base alle matricole del primo anno. Quindi, un percorso che poggi sulla selezione nel corso degli anni degli studenti più motivati e capaci andrebbe a scontrarsi contro questa regola. È chiaro, quindi, che ogni cambiamento deve poggiare su una programmazione precisa e puntuale che parta dalle risorse a disposizione».

L’annuncio dirompente è già stato attenuato ma la questione è delicata: in quasi tutti gli atenei oltre ai corsi ad accesso programmato, ci sono corsi con numero chiuso e questo per questioni meramente economiche ( l’accreditamento di cui parlava il Rettore). Se mancano le risorse non si può aprire a tutti, e questo per garantire il livello qualitativo che un percorso accademico merita.

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Pubblicato il 16 Ottobre 2018
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