I castelli in aria e la paura di volare: Umberto Orsini splendido «Costruttore Solness»

Ad applaudire l’attore 85enne, all’Openjobmetis di Varese, c’era anche il regista Andrea Chiodi, riconfermato dal Comune direttore artistico della prosa per la prossima stagione: “Vorrei tenere aperto il teatro tutto il giorno e dimostrare che ha un’anima”

Generico 2018

Da giovane costruiva le chiese, per Dio. Da adulto case vere per persone vere. Da vecchio castelli in aria. E sempre con la paura di salire le scale e provare la vertigine, di afferrare quella felicità che sarebbe stata lì, a portata di mano. Questo è Halvard Sollnes, complesso personaggio di Ibsen splendidamente interpretato – il 5 aprile al teatro Openjobmetis di Varese – da Umberto Orsini che, a 85 anni, è più che mai signore della scena. Il personaggio dell’anziano «Costruttore Solness», che dà titolo al testo del 1892, è al centro di uno spettacolo impeccabile dal punto di vista formale ed elegante nelle scelte scenografiche, uno spettacolo in cui l’azione è tutta al passato e nel finale, e lo spettatore si deve concentrare su ogni singola parola, ma ne viene poi appagato.

Si scopre così che il vecchio Solness deve la sua fortuna economica e la sua sfortuna umana all’incendio della casa di famiglia della moglie, dove viveva la giovane coppia con due gemelli appena nati: l’incendio, in cuor suo un po’ auspicato (e forse non solo) gli ha consentito di costruire su quel grande terreno molte case da vendere, ma ha raso al suolo la vita della moglie, il cui latte malato ha ucciso i bambini e ogni speranza di felicità. Tutto questo emerge perché una giovane donna conosciuta dieci anni prima, e ancora innamorata, viene a far visita a Solness ricordandogli che le aveva fatto una promessa: di regalarle un regno da principessa, e dunque un castello. Ma un castello in aria.

Naturalmente si capisce come siano molteplici le chiavi di lettura di questo intreccio e di questi personaggi che appartengono appieno al dramma borghese di fine Ottocento, che denuncia le ipocrisie della società e le contraddizioni dell’uomo, troppo spesso diviso tra morale e opportunismo, desiderio e insieme paura di essere felice: Ibsen, norvegese, autore tra i più rappresentati al mondo, lo racconta in tutti i suoi capolavori (basti citare «Casa di bambola»), che ancora tanto hanno da dirci oggi.

La regia di Alessandro Serra (premio Ubu nel 2017 con lo spettacolo «Macbettu») è fedele al testo ed essenziale. Molto bella la scenografia: un fondale nero davanti al quale si muovono alte torri quadrate anch’esse scure, che all’interno sono invece color mattone e si aprono creando situazioni diverse. Accanto a Orsini brave Lucia Lavia nel ruolo di Hilde e Renata Palminiello in quello della moglie.

In sala il pubblico era meno numeroso rispetto alle altre serate di prosa, ma c’erano comunque più di 400 spettatori attenti, anche se disturbati in parte dalla musica dello street food di piazza Repubblica. E c’era anche il regista varesino Andrea Chiodi, direttore artistico della stagione di prosa comunale tornata in auge quest’anno, dopo una lunga assenza, con quattro titoli (di Pirandello, Goldoni e Shakespeare e Ibsen) all’interno del cartellone del teatro coordinato da Filippo De Sanctis.

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A fine serata Chiodi, che ufficialmente per la prossima stagione sarà direttore artistico del teatro per la prosa e i progetti culturali e di produzione, ha fatto un primo bilancio: «Quella di quest’anno credo sia stata una rivelazione: scoprire che la gente ha voglia veramente di teatro, di grande qualità e di grandi artisti. Sono stati quattro spettacoli con quattro regie contemporanee su autori classici. Io sono molto felice, si può fare tanto per la città. Ma ci vuole uno sguardo che sia attento al panorama nazionale senza accontentarsi di che cosa si può costruire solo qua, e invece confrontandosi con quello che c’è intorno».

Un’anticipazione sull’anno prossimo? «Voglio raccontare alla città che il teatro ha un’anima e che può essere l’anima culturale di un territorio. Vorrei che il teatro fosse aperto tutto il giorno, che i ragazzi potessero venire a studiare in teatro, vorrei che diventasse un luogo di incontro e per fare questo deve essere un luogo che ha un’anima. Vorrei partire da lì, dal racconto di che cos’è l’anima del teatro. Quindi ancora grandi autori, grandi artisti, e soprattutto una ricerca seria sulla regia».

In serata è arrivato anche il commento dell’assessore alla Cultura Roberto Cecchi: «Per il prox anno ci sono già le condizioni di ripetere almeno quel che si è fatto per il primo – ha detto -. Ma nei giorni prossimi sapremo se sarà possibile fare una stagione che sia quel che ci aspettiamo da tempo. Ancora non ho tutti gli elementi per dirlo con certezza. Quanto al bilancio direi che è stato assolutamente positivo sia in termini di qualità che di riscontro del pubblico. La gente risponde con entusiasmo. E il teatro ha davvero ingranato una marcia in più quest’anno, mobilitandosi con nuove iniziative e valorizzando al meglio i nuovi contributi professionali di cui si è dotato. Il Comune ha fatto il suo. E qualcosa di più. La partenza è stata molto buona quindi considero che si possa fare molto di più affinché Varese abbia la stagione teatrale che si merita».

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Pubblicato il 05 Aprile 2019
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