Per parlare con Guttuso dovevi passare dal suo barbiere
La discrezione e riservatezza del celebre pittore non potevano essere scalfite senza il lasciapassare dell'uomo di fiducia. Per anni l'artista fu "ibernato" dal giornale locale perché era comunista
Nel tempo dei più inferni, quelli dell’economia, della politica, del lavoro, della scuola, delle povertà materiali e morali, credo che faccia bene al cuore di tanti varesini il recupero della piccola ma significativa epopea della “scoperta” di Renato Guttuso.
Figlio della Sicilia, nel turbolento e attivissimo Nord il notissimo pittore e grande comunista militante aveva conosciuto e subito apprezzato la silenziosa riservatezza di Varese e della sua gente.
E da anni Guttuso viveva e dipingeva per mesi nella nostra verde, quieta e silenziosa periferia, per di più protetto da un riserbo di ferro, quando decise di farsi coinvolgere nella splendida intuizione di un nostro concittadino, don Pasquale Macchi, segretario di papa Paolo VI.
Don Pasquale, nume tutelare del Sacro Monte, voleva riportare al massimo l’attenzione dei varesini e degli italiani sulla Via Sacra, quella delle cappelle, che il
tempo aveva degradato. In condizioni disastrose era in particolare l’affresco della terza, dedicata alla fuga in Egitto di Maria e Giuseppe con il loro piccolo Gesù (foto sopra).
Guttuso accettò l’invito al restauro, rivoltogli da don Pasquale, avendo piena libertà d’azione, così nella sequenza di dipinti vecchi comparve un Giuseppe ineguagliabile feddayn in un panorama perfettamente africano.
Mancava il sonoro e forse avremmo potuto sentire ragliare l’asino… in arabo. Polemiche roventi, ma un successo comunicativo senza precedenti, sarebbero venuti in molti anche dall’Europa per vedere l’affresco impostato da Guttuso e portato a termine da un collaboratore mentre il maestro, spesso non riconosciuto, se ne stava tra i curiosi a controllare.
La politica e la cultura dei migliori varesini colsero l’occasione per una lunga e sincera festa al pittore che rimase affascinato da tanto calore. Gli venne data la cittadinanza onoraria, si mossero anche personaggi nazionali di arte e di lettere e venne pure Andreotti con il quale grazie al sindaco Gibilisco mi fu possibile conversare a lungo. Era molto informato sulla nostra provincia e in particolare sull’apporto logistico all’Ossola dato dai bustesi, si ricordò anche di Radio Busto che fu la prima emittente a dare la notizia dell’inizio della Liberazione dal nazifascismo. Ho conosciuto personalmente Guttuso dopo un suo intervento al Rotary dove in pratica il sindaco Gibilisco e l’assessore Speroni gli chiesero scusa, con vero stile e sincerità massima, per non averlo mai… stanato. Abituato a una Como classista e conservatrice da tempo avevo notato la marcia progressista in più di realtà varesine come quelle degli industriali e dei rotariani.
Chiesi la parola e dissi che a ibernare Guttuso era stato anche il mio giornale perché Guttuso era comunista. La Prealpina che usciva al lunedì aveva un’altra squadra, cara ad azionisti rimasti all’aprile del 1948. Alle 8 del giorno successivo venni svegliato da una telefonata di Renato Guttuso che mi chiese di far parte della nascente fondazione varesina a lui dedicata.
Cito l’episodio perché nei giorni del tuffo in un passato gradevolissimo oltre a don Macchi, vero gigante della nostra storia cittadina, non può essere dimenticato Luigi Zanzi, grande democratico ed europeista, amico fraterno di Altiero Spinelli, colto scrittore delle Alpi e dei luoghi più impervi del mondo, innamorato della sua Varese e onorato per iniziativa del sindaco Fontana con una cerimonia, lui presente, in Consiglio comunale.
Per lungo tempo Luigi Zanzi lottò perché la Fondazione superasse i pareri opposti degli eredi Guttuso. Lottò pagando anche di sua tasca una interminabile serie di viaggi e soggiorni a Roma. Il tutto nell’interesse esclusivo della nostra città.
Il riserbo, i silenzi, la quiete di Guttuso erano una fortezza inespugnabile per di più con una porta piccola e improbabile: se ben ricordo quella del suo barbiere, il cui nome e indirizzo erano noti a un numero strettissimo di personaggi. Tutti, per poter parlare con l’artista, dovevano contattarlo.
Un giorno chiesi al maestro se fosse possibile intervistare questo suo fedelissimo.
«Non la prenda come scortesia, ma ad ogni sua domanda, seguendo una procedura sicura perché lenta e controllata, la risposta alla fine le arriverebbe… con il mio placet. E lei sa come io ami non violare questa isola di pace che mi sono costruito qui nella nostra Varese. Adesso che sono suo concittadino mi sento ancora più di casa e sicuramente sarò capito».
Dall’inizio della mia attività negli Anni 50 avevo messo in bilancio che i giornalisti sono anche e sempre rompiscatole. Non ho violato, mai il buon gusto, cioè non sono mai stato accompagnato alla porta. E Guttuso quella volta con me parlò più di quanto aveva in programma. Di arte, come a dire che la mia graticola durò una trentina di minuti perché ho avuto anche la buona abitudine di non raccontare mai bugie. A chi intervistavo, naturalmente.
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