In dieci anni per i rifugiati non è cambiato nulla
Il movimento Ubuntu di Varese ha riproposto un testo che aveva pubblicato molti anni fa. Una provocazione per ribadire l'immobilismo che ha caratterizzato la politica su un fenomeno così importante
Una giornata mondiale non la si nega a nessuno. Nemmeno ai rifugiati, cioè le persone che oggi nel mondo sono costrette a fuggire dai propri paesi in cerca di condizioni di vita migliori, che secondo i dati dell’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) sono 25 milioni. Si tratta di persone che scappano da guerre, bombardamenti, repressioni feroci in cerca di una speranza di vita in un altro paese.
Per la giornata del rifugiato il movimento Ubuntu di Varese ha riproposto un testo che aveva pubblicato ben dieci anni fa. Una provocazione per ribadire l’immobilismo che ha caratterizzato la politica su un fenomeno così importante. «Sono passati molti anni – spiega Modou Fall (foto), portavoce del movimento Ubuntu e membro dell’ASSVP senegalese – e non è cambiato nulla. La visione del fenomeno legata alla paura condizionava allora e condiziona ancora oggi l’esistenza del migrante, sia quando sta varcando il tratto di mare pericoloso sia quando è già qui in occidente».
Ubuntu, nome d’origine sudafricana, evoca principi e valori come fratellanza e solidarietà universale, per un nuovo umanesimo. La vita di un essere umano si realizza pienamente solo se posta in relazione armonica con quella dei suoi simili. Altrimenti essa sarà destinata all’infelicità e all’inconsapevolezza.
“NON LASCIAMO CHE L’UMANITÁ VADA ALLA DERIVA”
Oggi le sfide da affrontare richiedono coesione sociale, e una più forte solidarietà tra gli esseri umani, che ci aiuti a superare una crisi che discende anche da un individualismo sfrenato. Tutti gli uomini e donne dotati di coscienza hanno il dovere e la responsabilità di agire. L’approvazione del cosiddetto “Pacchetto sicurezza”, condiviso da parte nostra per la lotta alla criminalità ma non nelle modalità d’intervento e sul messaggio demagogico che vuole restituire. Tutto ciò risulta essere dannoso per il paese e in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione e mostra senza equivoci la mancanza, in chi è attualmente al governo, di
qualsiasi visione a lungo termine in materia di immigrazione, un problema civile, sociale e culturale che non può essere ridotto a un problema di ordine pubblico, e che non può essere affrontato a partire dalla paura.Storicamente la politica della paura e quell’odio che la segue come un’ombra, ha sempre portato con sé disastri, rovine, lutti, per effetto di guerre, dei conflitti interni e dell’azione di regimi più o meno autoritari. Ispirandosi ai valori della tradizione cristiana, come a quelli della tradizione laica e democratica, testimoniando con fatti e non soltanto con parole tali valori, l’Italia del nuovo millennio deve potersi e sapersi confrontare con il patrimonio umano, culturale e civile degli immigrati che qui giungono da quasi tutto il mondo.
Pieni di questi valori abbiamo sentito il dovere morale di dire, ai governanti e ai cittadini: non lasciatevi consigliare dalla paura, un muro che impedisce l’incontro fecondo tra di noi e chi ci isola. L’apertura agli immigrati può essere l’occasione di un ritrovato e rinnovato sentimento della comunità, di una conversione della chiusura sull’io a un noi più largo e coeso. Un noi dove nessuno sia escluso. Per questo nobile compito chiediamo al governo di abbandonare la politica della paura per abbracciare una politica di coraggio. Una politica che guarda solo alla caccia dei consensi elettorali in tempi brevi toglie alla politica il suo scopo fondamentale, la costruzione del futuro. Vorremmo un segno di una nuova apertura mentale, senza la quale non c’è incontro, non c’è costruzione di un mondo condiviso, non c’è accoglienza dell’altro, non c’è rinnovamento della linfa vitale della democrazia. Senza una politica dell’incontro, dell’accoglienza, del reciproco riconoscimento non ci sarà integrazione; e se non ci sarà integrazione ci sarà per conseguenza anche più insicurezza, più sacche di povertà, più disagio e instabilità sociale, e quindi più conflitti.
La presenza degli immigrati, la natura multietnica dell’Italia, sono un fatto, come il DNA o l’estinzione dei dinosauri. Si prenda atto dei fatti, e si lavori seriamente sull’accoglienza. Anche se non piace, l’accoglienza conviene per gestire al meglio i flussi migratori. Se davvero si vuole una politica del conflitto, prima o poi bisognerà assumersi la responsabilità delle sue conseguenze. Gli immigrati riuniti nel movimento Ubuntu hanno per parte loro elaborato una strategia di integrazione che prevede una più intensa partecipazione attiva nella sfera sociale, politica e culturale, nella speranza che le loro mani tese possano incontrare quelle degli autoctoni per edificare insieme un futuro comune nel territorio, e avvicinare così una società giusta e più umana. Per integrarci dobbiamo esserci, per conoscerci dobbiamo incontrarci, e la cultura è più fecondo per ritrovarsi.
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