Burgi e la profondità (spirituale) del paesaggio
Il primo incontro dopo il rientro dalle vacanze per Thinking Varese a villa Panza è stato dedicato all'architettura che evidenzia il paesaggio, più che modificarlo, insieme al pluripremiato esperto ticinese
Il primo incontro di Thinking Varese dopo le vacanze raddoppia, si inserisce nella tematica di Nature Urbane e prende anche un nuovo nome: “Thinking Varese Landscape. Testimonianze di architettura del paesaggio”
Nella sala gremita per ascoltarlo, l’ospite della serata del 18 settembre è stato Paolo Burgi, architetto paesaggista con sede a Camorino, in Canton Ticino. «E’ docente all’Università della Pennsylvania, allo IUAV di Venezia e al Politecnico di Milano. Ha vinto numerosi premi in concorsi internazionali come: il CERN in Svizzera, gli “Helsinki Toolonlathi Parks” in Finlandia o il Carso 2014+ in Italia. Nel 2003 ha ricevuto l ‘”European Landscape Award Rosa Barba” per il progetto Cardada e il “Die Besten 03-bronce Award” per il “Seashore Kreuzlingen, e il progetto per il museo a cielo aperto nel Carso di Gorizia è stato selezionato ed esposto alla Biennale di Architettura di Venezia 2018, nel padiglione Italia» ha spiegato la presidente dell’ordine degli architetti Elena Brusa Pasquè nell’introduzione. Tra le piccole proteste dell’artista, che con grande modestia l’ha definita “troppo lunga”.
«Sono stato educato da genitori che mi hanno insegnato ad amare la terra, e sono stato un ragazzino sempre molto vivace e coraggioso. Questo forse mi ha dato la forza di esprimere anche il coraggio delle idee» racconta, più semplicemente, per dare corpo al suo percorso formativo: che si è arricchito, per tutta la vita, soprattutto dall’esperienza della bellezza.
Per Burgi non è stata la prima visita a Villa Panza: «Ricordo bene il pomeriggio della prima volta in cui sono venuto qui, negli anni ottanta. E’ uno dei più bei pomeriggi che io ricordi, ed è stato molto bello. Anche se allora ho visto opere che non ho più ritrovato».
Davanti all’arte e alla natura, Burgi non ha smesso di incantarsi: nella villa il grande architetto paesaggista ha scattato decine e decine di foto, e durante la serata è stato chiaro il perché. Le sue foto fanno da archivio e da promemoria per ciò che ha amato e vuole ricordare, ogni immagine e visione è una ispirazione.
Nell’incontro, ha mostrato alcune delle sue opere e dei suoi temi di studio con i ragazzi del Politecnico di Milano. Ha raccontato di panchine amate e scomparse, di fiori che incidevano la prospettiva dei campi, di rapporto tra abisso, natura e ristoro.
Tra le cose più affascinanti mostrate, i “campi disegnati” in sinergia tra architetto e contadino, per mostrare un nuovo panorama a chi si sofferma: «Uno dei progetti più recenti, di pochi mesi fa». Ma importante anche il progetto della piazza di fronte al Cern di Ginevra, della dimensione di 7mila metri quadri, disegnata in modo da «permettere di rendere l’idea delle cose incredibili che succedono all’interno».
Per tutti, un unico filo conduttore: «Intervenire il meno possibile, limitarsi a evidenziare quello che il luogo è».
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