Per le banche “piccolo” è ancora bello
Non è detto che la grande dimensione per gli istituti di credito sia l'unica strada da perseguire. Uno studio di Federcasse dimostra che il modello di banca locale, come quello delle Bcc, è in grado di offrire un valido sostegno alla crescita economica
Quando si parla di impresa in genere il discorso finisce sempre sulla dimensione della stessa. Dire «piccolo è bello» per alcuni economisti è una visione legata al passato, obsoleta, rispetto a un mercato globalizzato, e poco efficiente perché non consente di fare economie di scala. In realtà si potrebbe continuare a rimanere piccoli purché si ragioni in termini di partnership e non di semplice fornitura, utilizzando le grandi aziende e soprattutto le multinazionali come una sorta di portaerei per arrivare sui mercati del mondo.
In questo dibattito, oscillante tra la demonizzazione del piccolo e l’esaltazione della grande dimensione, negli ultimi quindici anni sono state trascinate anche le banche che, seppur imprese particolari, sempre imprese sono. Ancora prima dell’inizio della crisi economica e del fallimento di Lehman Brothers – considerata a torto troppo grande per fallire – gli istituti di credito anche italiani hanno dato avvio a una serie di fusioni, unioni e acquisizioni nella convinzione di realizzare in questo modo una maggiore efficienza, quale condizione essenziale per rimanere sul mercato. Dopo tutti questi anni, però, le certezze sull’argomento hanno iniziato a vacillare, come dimostra il Servizio studi di Federcasse (la Federazione italiana delle banche di credito cooperativo e casse rurali) che ha condotto un’analisi della letteratura specializzata per verificare quali sono i principali risultati delle ricerche empiriche effettuate nell’ultimo decennio.
Una recente analisi pubblicata dalla Banca Centrale Europea (Financial Stability Review, maggio 2018) ha registrato un livello di efficienza delle banche cooperative e delle casse di risparmio superiore a quello delle banche commerciali, generalmente di maggiore dimensione. Il modello di banca locale e territoriale ha inoltre svolto un ruolo rilevante nel sostenere l’economia italiana, come puntualmente registrato da studi pubblicati negli ultimi anni nelle Collane di ricerca della Banca d’Italia (2015 e 2016). Ciò ha favorito lo sviluppo locale, come mostra ancora un’analisi svolta congiuntamente da due accademici, l’italiano Paolo Coccorese e lo statunitense Sherrill Shaffer, sui comuni italiani.
«Le economie di scala – ottenibili attraverso la crescita dimensionale, possibilmente tramite fusioni e acquisizioni che riducano il numero di banche – sono spesso indicate come lo strumento più adeguato a recuperare competitività e redditività», osserva il responsabile del Servizio analisi economica e statistiche creditizie di Federcasse, Juan Lopez, che ha coordinato la ricognizione della letteratura più recente. «Vengono così in genere considerati come obsoleti quei modelli organizzativi differenti che hanno coniugato la dimensione locale e l’efficienza. Un’esperienza tipicamente europea è quella dei network di banche locali (casse di risparmio, cooperative popolari, cooperative mutualistiche, ndr) che mettendo in comune elementi di costo (come back office, consulenza, ricerca, ndr) e fattori di ricavo (prodotti e servizi comuni, ndr) riescono a coniugare il mantenimento dei centri decisionali nei territori, l’efficienza operativa e la ragionevole redditività in un quadro culturale e valoriale condiviso, volto a generare un impatto trasformativo nei territori stessi».
Anche la Banca Europea degli Investimenti (2016) ha messo in luce la rilevanza delle banche cooperative e delle piccole banche nello sviluppo locale e in particolare nel sostegno alle Pmi. Infine, la stabilità dei network e dei gruppi cooperativi veniva considerato un fattore positivo nel contesto più generale come hanno a loro volta
dimostrato due analisti del Fondo Monetario Internazionale.
«Ricerche e analisi autorevoli – conclude Lopez – dimostrano quindi che il modello di banca locale, rivisitato anche alla luce dei nuovi modelli organizzativi che si sono affermati in Italia, ad esempio nel settore delle Bcc, è in grado di offrire un valido sostegno alla crescita economica inclusiva e partecipata, pure nei territori marginali. I Paesi che dispongono di questo asset dovrebbero valorizzarne le potenzialità».
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