Il Covid-19 non sa cosa significhi “metro statico”
di Enzo R. Laforgia

Probabilmente il Covid-19 non sa cosa significhi “metro statico”. Dev’essere una questione di sistemi di misura differenti. A scuola, dove lavoro io, tutto era stato fatto a regola d’arte: un metro esatto tra testa e testa e due metri esatti tra la testa del docente e la testa dello studente più vicino.
Purtroppo abbiamo dimenticato di avvisare il Covid-19, da qualche giorno il più intimo frequentatore mio e della mia famiglia, che in una organizzazione come la scuola, la staticità non è propriamente la legge fisica dominante. A scuola si arriva spesso con mezzi pubblici sempre più simili, nella nostra eccellente Regione, ai taxi brousse che si utilizzano in alcuni paesi probabilmente meno eccellenti del nostro; a scuola ci si alza, ci si siede, si attraversano corridoi, si cambia aula, si condividono strumenti, si frequentano i servizi igienici, ci si incrocia in ogni momento. Pertanto, almeno sul piano logico, è difficile coniugare staticità e movimento.
E per quanto tutti noi condividiamo lo slancio epico con cui la responsabile del Ministero della pubblica istruzione continua a dichiarare: le scuole non devono chiudere!, ho paura che alla fine dovranno chiudere per assenza di frequentanti, tutti messi in quarantena o chiusi da qualche parte a curarsi.
Il Covid-19 non ha orecchie. Nemmeno condotti lacrimali da cui possa trapelare l’emozione per le fiere affermazioni della nostra Ministra. Nella scuola in cui mi tocca di lavorare, ho visto le colleghe “referenti Covid” stremate da un’emergenza, che l’Amministrazione non vuole riconoscere. Ho visto il Dirigente dello stesso istituto scolastico cercare disperatamente di comunicare con i responsabili della sanità locale ed essere costretto ad imbastire soluzioni e decreti da un giorno all’altro (dalla sera alla mattina), sulla base delle ordinanze raffazzonate, confuse e contraddittorie, difese strenuamente da un apparato burocratico, che sembra essere l’unica realtà veramente statica del mondo della scuola.
Insomma, io da martedì scorso sto facendo i conti con l’infezione virale. Non è una bella esperienza. Al momento non so quante classi del mio istituto, quanti colleghi e quanti studenti, quanti del personale tutto siano risultati positivi. Per una strana interpretazione della privacy, al momento non sono riuscito a saperlo. E così me ne sto a casa, registrando gli effetti della malattia sul mio corpo, seguendo la terapia farmacologia e misurando la temperatura corporea. Ma: La scuola non deve chiudere! Io intanto me ne sto chiuso in una stanza, sigillato tra materasso e coperte, isolato anche dai miei familiari.
Per passare il tempo, rispolvero, dentro di me, una varietà infinita di bestemmie, in lingue note e sconosciute, vive e morte, non trascurando ovviamente gli idiomi locali.
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