Prima l’accoglienza, poi l’esame: il modello Varese per lo screening mammografico si rafforza “grazie” al Covid
70 volontarie accolgono le donne chiamate in ospedale per lo screening mammografico, rispondendo alle domande e dando informazioni. Un sistema che rende più efficace il servizio e che si è rafforzato dopo l'emergenza covid
Tempi molto stretti, esami estremamente delicati e il rischio di sentirsi solo un numero. Questo è quello che vivono tante donne quando sono chiamate in ospedale per lo screening mammografico, l’esame che permette la diagnosi precoce del tumore della mammella. Ma non a Varese. Gli ospedali dell’Asst Sette Laghi possono infatti contare su un piccolo esercito di volontari che permette l’umanizzazione delle cure attraverso un progetto di accoglienza.
«Quello a cui puntiamo noi è mettere più a loro agio le donne che arrivano per fare questo test, dar loro tutte le informazioni necessarie e rispondere alle domande -spiega Adele Patrini, coordinatrice del progetto con l’associazione Centro Ascolto Operate al Seno insieme all’associazione Volontari Ospedalieri oggi presente con il presidente Angelo Rossi e la vicepresidente Cristina Birago-. Il tecnico che fa l’esame ha infatti pochissimo tempo a disposizione e quindi poter contare su una rete di volontariato di questo tipo diventa estremamente importante». Un progetto che è nato nel 2012 ma che negli ultimi tempi ha visto una grande accelerazione in risposta alla pandemia. «Quando nella primavera dell’anno scorso tutte le attività ambulatoriali sono state interrotte è stato fermato anche questo screening -continua Patrini-. Così quando tutto è ripartito nel territorio di Varese c’erano 7.200 donne a cui è stato riprogrammato l’esame e quindi anche noi con il nostro progetto ci siamo dovuti riorganizzare».
È stato lanciato un appello per trovare altre forze «e la risposta è stata davvero incredibile». Sono state ben 11 le associazioni che si sono rese disponibili -Lilt Varese e Valcuvia, gruppo donne di Cunardo, Andos Varese, Ispra e Insubria, Varese per l’Oncologia, Città delle donne, Cri Valceresio e Arcisate, Amor Angera- e anche alcune studentesse di comunicazione dell’Università dell’Insubria per un totale di 70 persone. Questo ha quindi permesso da un lato di rispondere a tutto il carico di lavoro extra e dall’altro di attivare il servizio di accoglienza in tutti gli ospedali dell’ASST.
Una umanizzazione delle cure portata avanti dal Terzo Settore che ha anche effetti diretti sull’organizzazione degli ospedali. «Quando siamo partiti 10 anni fa avevamo 11.000 slot per questo esame mentre oggi siamo a più di 25.000 -spiega Leonardo Callegari, direttore della struttura complessa di radiologia e mammografia-. Ci siamo però resi conto che alcune donne sentivano troppo freddo e distaccato lo screening con il personale che, per quanto professionale, aveva davvero il tempo contato. Quindi capitava che alcune rifiutassero lo screening e si facessero prescrivere una mammografia clinica, pensando di essere maggiormente ascoltate. Con questo supporto di accoglienza la donna non si sente un numero e così tutto il sistema diventa più efficiente».
Un progetto che vuole diventare esempio per tutto il territorio e rafforzarsi ulteriormente. «È un’esplosione di bene quella che viene fuori dal vostro progetto e dobbiamo cercare di contagiare sempre più persone» commenta Emanuele Monti, presidente della commissione Sanità di Regione Lombardia che sabato mattina ha incontrato le rappresentanti delle varie associazioni. «Potremmo pensare per il futuro -continua Monti- ad un’iniziativa come una fiera dove presentare queste storie e queste attività, che non solo danno tanto ma permettono anche di ricevere». In questo senso in prima linea ci sarà anche l’Università dell’Insubria: «Sono entusiasta all’idea di cosa potremo fare per migliorare -commenta Giulio Facchetti, presidente del corso di laurea di Scienza della Comunicazione- avendo l’occasione di lavorare in modo strutturato su etica, comunicazione e impegno civico, oltre che le attività concrete di volontariato in questo ambito così importante come quello sanitario».
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Riporto qui il mio commento che mi è erroneamente finito sotto altro articolo più datato:
Mi complimento davvero con tutte/i volontari e responsabili di questa attività. Il mio commento vuole essere un appunto per il futuro, assolutamente non una critica negativa.
Purtroppo spesso oltre alla mammografia vi è la necessità di effettuare anche un’ecografia (specie per chi ha anche altre patologie) e sarebbe utile e importante che si potesse fare semplicemente con lo stesso appuntamento, pagando il ticket dovuto o allargando lo screening fino a comprendere anche l’ecografia.
Ho fruito di persona del servizio dello screening e posso esprimermi solo ottimamente sotto tutti gli aspetti ma ho dovuto rivolgermi a centri privati per fare anche l’ecografia in tempi brevi. L’interazione con questi altri centri è stata purtroppo pessima: mi sono presentata con il dischetto dello screening (dopo aver pagato il relativo ticket alla Cassa dell’Ospedale) mi è stato detto che non sapevano che farsene e invitata a rifare la mammografia (!!!) presso di loro per consentire un’analisi più accurata.
Non è in qualche modo pensabile che per un’utente dello screening si possa aggiungere su richiesta l’ecografia in tempi ragionevoli presso le strutture ospedaliere?
Nel mio caso dovrò scegliere la mammografia clinica per poterla fare contestualmente all’ecografia, non perchè penso di essere meglio ascoltata.
Sto ahimè collezionando casi di amiche che grazie all’ecografia hanno potuto scoprire di avere il cancro in una fase più iniziale e hanno avuto più possibilità di guarire bene.