Ambrogio Vaghi, Gianni Rodari e le vite degli altri
"Un cardinale rosso a Varese" (Macchione Editore) è uno scrigno di fatti, storie e persone che hanno caratterizzato la città. Sabato 4 settembre (ore 16 e 30) la presentazione ai Giardini Estensi
Sabato 4 settembre (qui il link per registrarsi) la presentazione della biografia “Ambrogio Vaghi un cardinale rosso a Varese” (Macchione Editore) è un momento che tanti varesini aspettano. E non solo quelli di sinistra o, meglio, i progressisti, come si chiamano oggi. Il libro rivela infatti che l’uomo, così come il politico, gode di una stima trasversale. Il suo editore, Pietro Macchione, ha ricordato il ruolo di «sindaco ombra» assunto da Vaghi in passato, cioè di uno che indirettamente prendeva decisioni dispensando consigli – sempre richiesti – a chi governava la città.
MARIO OSSOLA IL SINDACO DEMOCRISTIANO
A proposito di sindaci, nella biografia sono stati pubblicati una serie di documenti, tra cui due lettere di Mario Ossola, democristiano doc e Primo cittadino di Varese per più mandati a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Nella prima lettera, datata 4 giugno 1970, il sindaco si congratula con Vaghi per aver appreso «con vivo piacere» della sua ricandidatura a consigliere comunale. «Ricordo – scrive Ossola – la preziosa collaborazione da Lei prestata dai banchi dell’opposizione, in questi anni trascorsi e la ringrazio per quanto ha fatto. Mi auguro che i cittadini Le riconfermino la loro fiducia e che il Consiglio comunale che scaturirà dalle prossime elezioni possa ancora beneficiare della Sua esperienza».
Nella seconda lettera, che risale al 18 giugno 1975, Ossola si congratula con Vaghi per la sua rielezione a consigliere comunale.
Questi due documenti dimostrano lo stile che informava la politica di allora. C’era rispetto per gli avversari politici, nella convinzione che fosse necessario il contributo di tutti nella amministrazione della cosa pubblica, a maggior ragione se si trattava di persone valide.
L’EMPATICO VAGHI E GIANNI RODARI
La capacità di Vaghi di stabilire relazioni e legami importanti con le persone passava dalla sua naturale empatia, da un carattere fermo nei principi e gentile nella forma, critico ma sempre costruttivo.
Ora, si potrebbe essere facilmente equivocati se dicessimo che Vaghi partecipava alle vite degli altri con l’ascolto. Certo, nel libro si parla anche di un viaggio nella ex Repubblica democratica tedesca (Ddr) quando la Germania era divisa in due, ma il riferimento non è al film che ha vinto il Premio Oscar che racconta quegli anni. La capacità di ascoltare con attenzione e di confrontarsi apertamente con le persone sono le qualità che hanno permesso ad Ambrogio Vaghi di essere ancora oggi circondato dall’affetto e dalla considerazione di molti amici e conoscenti di diversa cultura e fede politica.
Un particolare aspetto caratteriale che lo ha sempre guidato nelle relazioni. Tra le più importanti c’è quella con lo scrittore e poeta Gianni Rodari, un gigante della letteratura per l’infanzia, con cui Vaghi ha condiviso molto. La biografia dedica un intero capitolo al loro rapporto di amicizia e lavoro.
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DIRIMPETTAI DI SCRIVANIA
Fu lo scrittore a chiedere di conoscere quel maestrino che mandava al giornale “L’Ordine Nuovo”, settimanale del Pci, cronache puntuali e ben scritte da Varese. E così propose al giovane Vaghi di aiutarlo nella correzione delle corrispondenze che arrivavano dalla provincia. I due erano dirimpettai di scrivania e il lavoro impostato da Rodari puntava a realizzare un giornale popolare che entrasse nelle dinamiche del territorio nella nascente democrazia. «Sulle corrispondenze dalla città e dalla provincia – racconta Vaghi- era un direttore rigoroso. Ne voleva tante e tutte ben lavorate per la pubblicazione». Rodari era incuriosito dalle persone, dalle loro storie e la redazione del settimanale era un porto dove approdavano studenti, laureati, musicisti, persone di diversa estrazione e sensibilità con cui discutevano di musica, letteratura e politica. «Rodari spesso lamentava che in Italia non ci fosse una letteratura infantile. Tutto era fermo al “Libro cuore” e a “Pinocchio” di Collodi. Eravamo d’accordo: chi l’avrebbe mai detto che in futuro si sarebbe aggiunto proprio lui?».
L’ADDIO DI RODARI
Rodari lasciò il giornale e Varese l’8 marzo del 1947, dopo aver avuto la chiamata dalla redazione milanese de “L’Unità” il quotidiano del Partito comunista italiano. Non fu un trasferimento felice perché Rodari fu costretto a fare il cronista addetto ai problemi legati agli approvvigionamenti alimentari, mentre «Gianni al giornale ambiva giustamente ad un maggiore riconoscimento delle sue qualità. Anche sul piano economico».
Il legame tra Rodari e Vaghi rimase profondo e ogni qualvolta lo scrittore veniva a Varese una tappa obbligatoria era a casa dell’amico. Un rapporto che genera tuttora pensiero vivo, in grado di interrogarci sul futuro. Così in una lettera ad Alice Bigli: «Più che andare ai ricordi penso che oggi sia di interesse discutere su che cosa ha lasciato Rodari alla scuola e che cosa sia ancora oggi più che mai attuale».
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