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Per portare avanti l’impresa di famiglia il cognome non basta
Che cosa rende così complesso il passaggio generazionale? Perché così poche imprese arrivano alla terza generazione? Ance si è interrogata su questa sfida imprenditoriale
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Uno dei passaggi più delicati nella vita di un’azienda familiare è quello generazionale, un momento su cui si consumano molti luoghi comuni. L’unica regola certa la fornisce la statistica ed è quella del 30%. Su cento aziende, trenta arrivano alla seconda generazione e di queste solo nove arrivano alla terza. Salvatore Sciascia, professore ordinario di economia aziendale dell’università Liuc di Castellanza ed esperto di imprese familiari, a questo proposito fa una riflessione importante: «Non si racconta mai che le settanta imprese che non ce la fanno, chiudono ben prima di quel passaggio».
Per favorire la successione imprenditoriale, anche nel caso in cui non ci siano in famiglia le figure idonee a ricoprire ruoli nella governance dell’impresa, occorre costruire un percorso adeguato nel tempo. L’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) di Varese ha organizzato un incontro dedicato a questo tema con gli analisti di The European House Ambrosetti, Francesco Massignani e Riccardo Urbani, per discutere delle sfide e soprattutto dei rischi insiti nel cambio generazionale, a partire dalla sovrapposizione tra famiglia e impresa. «Nella prima – ha precisato Massignani – sono tutelate le uguaglianze. Nella seconda si tutelano le differenze, ovvero: meritocrazia , competizione e rischio».
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GLI ERRORI COMUNI E LA VARIABILE TEMPO
L’elenco degli errori nel passaggio generazionale è lungo: la mancata distinzione tra ruolo di proprietà e ruolo di gestore, il non rispetto degli incarichi operativi, l’assenza di criteri chiari per i familiari in azienda, la carenza di informazioni e comunicazioni, la prevalenza del cognome familiare sul rispetto delle regole. Quasi tutti gli imprenditori in teoria si dicono pronti e attenti ad evitare questi errori, ma il vero problema non è tanto sul piano teorico quanto su quello pratico, cioè nel concreto.
Il trascorrere del tempo gioca a sfavore perché la consuetudine ad andare d’accordo in famiglia tende a ridursi con il passare degli anni. E il fatto che i nomi di figli e nipoti, licenziati in tronco dal fondatore, compaiono con una certa frequenza nei titoli dei giornali, altro non è che la conferma della difficoltà nell’applicazione pratica di quelle regole.
GLI STRUMENTI PER EVITARE IL PEGGIO
Per evitare le conseguenze peggiori ci sono degli strumenti che, secondo gli esperti, sarebbe meglio adottare con un certo anticipo, sapendo di poter contare all’interno della famiglia di una certa armonia e concordanza su alcuni punti: la tutela dell’impresa, che esclude logiche di gestione familiste, la tutela della famiglia, dando pari opportunità a tutti i componenti, la garanzia di trasparenza con informazioni condivise sulle soluzioni adottabili ai cambiamenti di contesto. È su queste premesse che si possono adottare patti di governance e generazionali e programmi di formazione diffusa per i ruoli di socio e membro del consiglio di amministrazione.
Se l’impresa rappresenta l’interesse comune e superiore, occorre predisporre un sistema di regole condiviso e sottoscritto dai componenti del nucleo familiare in grado di vincolarne i comportamenti nei rapporti con l’impresa stessa. Si va dai valori guida della famiglia alle modalità di accesso ai ruoli di responsabilità, dai criteri di nomina e funzionamento del cda alle regole per il rispetto dei ruoli, fino alle modalità per tutelare la governabilità dell’impresa. «Il percorso per realizzare tutte queste attività – ha sottolineato Riccardo Urbani, senior consultant imprese familiari e governance di European House Ambrosetti – è importante quanto i contenuti perché rappresenta una vera e propria sfida culturale».
Un percorso che Giulio Parolini, terza generazione alla Pac spa e ceo per i mercati esteri dell’azienda di famiglia, ha percorso interamente. «È un processo che richiede passaggi precisi e una pianificazione rigorosa e coerente – ha detto il giovane imprenditore – Non basta avere il cognome del fondatore, ma bisogna favorire lo sviluppo e la formazione dei potenziali eredi per poi arrivare alla selezione del candidato. L’unico ruolo che si eredita è quello di socio, gli altri bisogna meritarseli, anche facendo esperienze in altre aziende».
Nell’impresa familiare apertura, cuore e competenza fanno la differenza
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