Buon compleanno 118: dalla centrale ospedaliera all’Areu nel racconto dei protagonisti
L'istituzione nata a Varese nel 1997 con Claudio Mare come servizio provinciale. Nel 2009 arrivò Guido Garzena che traghettò la centrale in Areu. Oggi è Sabina Campi a dirigere un servizio profondamente diverso rispetto a 25 anni fa
Il 118 compie trent’anni. L’istituzione del servizio disposto a livello ministeriale, però, non fu immediato. Almeno a Varese dve si dovette attendere fino al 1997 per avere il centralino dell’emergenza sanitaria. All’inizio erano servizi provinciali, legati al territorio. Poi l’evoluzione in azienda autonoma con Areu, la riorganizzazione territoriali con le “Soreu” e l’integrazione all’interno del sistema più complesso del 112.
L’ATTIVITA’ DI SOCCORSO NEI NUMERI
Dal 2008, quando venne realizzata Areu, in provincia si Varese sono state soccorse 913.750 persone e sono stati utilizzati 1.028.816 mezzi di soccorso
I PRIMI PASSI DEL 118 IN PROVINCIA DI VARESE
A tenere a battesimo la prima centrale 118 a Varese fu il dottor Claudio Mare che ne resse le sorti fino al 2009, dopo aver brillantemente superato l’esame del “Mondiale di ciclismo” proprio sulle strade del Varesotto.
«Sono arrivato alla guida della neonata centrale del 118 provinciale per volere del dottor Montoli ( primario del pronto soccorso all’ospedale di Varese) e dall’allora direttore sanitario Gianduso – ricorda Claudio Mare – Soprattutto Montoli mi aiutò a comprenderne il meccanismo, mi accompagnò a vedere gli altri servizi attivati nelle province lombarde. Il direttore di presidio Andrea Larghi, invece, mi presentò ai direttori di tutti gli altri ospedali del territorio per costruire la rete di collaborazione con la centrale provinciale, composta da personale che si alternava al telefono e sulle ambulanze. Fino a quel momento, il soccorso era stato gestito in autonomia dalla Croce Rossa e da una serie di associazioni locali. Il primo compito fu quello di coordinare tutta questa eterogeneità. Riuscimmo a far convergere le forze presenti in due enti di riferimento la Croce Rossa e Anpas. Sin dall’inizio, decidemmo anche di attivare l’automedica, un mezzo che andava ad affiancarsi alle ambulanze. Un’opzione che altre province non accolsero».
In quegli anni, il 118 non aveva personale dedicato, i medici ruotavano dai reparti ospedalieri : « la scelta fu quella di coinvolgere soprattutto personale di pronto soccorso e terapia intensiva. Puntammo molto sulla formazione del soccorso in urgenza, un bagaglio che poi il personale riportava in reparto così da creare percorsi condivisi ed efficaci all’interno del nostro territorio. Le aree di azione erano quelle con prefisso telefonico 0332 e 0331.2.
« Il secondo impegno che mi venne affidato fu quello di far conoscere il numero 118. Ricordiamo che, fino a quel momento, chi aveva bisogno chiamava la sua associazione di riferimento, chi la Croce Rossa, chi l’SOS della zona. Avviammo un’importante campagna di formazione nelle scuole: se insegnavamo ai bambini, arrivavamo anche ai loro genitori. Fu un lavoro certosino e meticoloso. Oggi sembra la preistoria, abbiamo ormai ben chiari sia il numero 112, sia il 118, li diamo per scontati, ma 25 anni fa il 118 non lo conosceva nessuno».
LA NASCITA DI AREU
Quando Claudio Mare venne chiamato a Brescia, lasciò il posto al dottor Guido Garzena. Anche lui era un medico “della prima ora”. Salito in ambulanza da specializzando, è sceso nel 2013 per una serie di motivi organizzativi e burocratici: « Agli inizi era un sistema semplice e snello – ricorda il dottor Garzena – lavoravamo con le associazioni che gestivano di fatto le uscite. Il 118 ha portato la medicalizzazione del servizio con una presenza specialistica al fianco dei volontari. Solo successivamente, quando ormai eravamo in Areu, si è distinto e affinato il modello con ambulanze, automediche e anche auto infermieristiche ».
L’arrivo di Garzena alla centrale 118 di Varese coincise anche con l’inizio di un nuovo modello organizzativo: « Solo un anno dopo il mio insediamento, aprimmo proprio a Varese la centrale 112. Siamo stati i precursori di un modello nuovo che si è quindi diffuso nel paese. È stato complicato coordinare un duplice livello gestionale. Mi sono battuto perché non chiudesse la nostra centrale operativa 118 provinciale che venne assorbita dalla Soreu degli Laghi con sede a Como. Con il senno di poi, però, devo ammettere che fu un cambiamento positivo, che costrinse tutti a mettersi in gioco e rompere gli automatismi».
Il cambiamento radicale del sistema dell’emergenza urgenza viene vissuto da Guido Garzena con grande energia: « Avevo 44 anni e tanta grinta. Poi, piano piano, ho capito che la transizione verso un modello unico lombardo, se da una parte ci toglieva autonomia e centralità, dall’altro ci restituiva modelli operativi univoci, protocolli di intervento uguali e, soprattutto, reti di risposte adatte alle diverse esigenze come le patologie di rete, quelle tempo-dipendenti, i trauma center. C’era sempre il percorso migliore. Il gioco di squadra più complessivo ci ha costretto a confrontarci con gli altri per tirare fuori il meglio da ciascuna realtà e condividere per il progresso di tutti».
Il passaggio non fu indolore: il sistema tutto varesino che metteva in rete ambulanze, pronto soccorso, terapia intensiva , costruito con tenacia e perfezionismo si scontrò con altri modelli e altri percorsi in un percorso di avvicinamento e integrazione che smussò angoli e frizioni per realizzare un sistema integrato regionale : « L’approccio a 360 gradi ci portò anche a investire sulla cultura del soccorso, e a fare formazione. Ne abbiamo fatta davvero tanta, tra le associazioni, nelle scuole, tra le persone». Uno dei progetti più importanti voluto dal dottor Garzena è stato sulla della rete del primo soccorso con l’ampliamento dei DAE ( defibrillatori ) dislocati sul territorio e la loro messa in rete per intervenire tempestivamente».
« Il Covid ci ha messo davvero alla prova – commenta il dr Garzena che ha guidato la centrale 112 durante a prima ondata, rispondendo alle richieste di aiuto che provenivano dalla Bergamasca così duramente colpita – Il Varesotto venne risparmiato nei primi mesi del 2020, ma il nostro personale fece la propria parte andando ad aiutare Bergamo e Pavia.
Ho vissuto in questi 23 anni molte esperienze, ho ricevuto gratificazioni, ho affronto ostacoli e cambiamenti. Penso che era destino che toccasse a me e mi sono impegnato moltissimo per affrontare tutta questa complessità».
L’EMERGENZA DEL COVID E IL FUTURO DEL SERVIZIO DI SOCCORSO
Una complessità che ha lasciato in eredità alla dottoressa Sabina Campi, anche lei medico in ambulanza fin dagli anni della specializzazione, un amore a prima vista: « Mi hanno affidato la direzione della centrale operativa 118 di Varese all’improvviso. Non me lo aspettavo. Ho dovuto velocemente comprendere quali compiti burocratici, amministrativi e istituzionali comportasse l’incarico. Le prime settimane vivevo attaccata al cellulare, per non perdermi nulla, perchè sentivo l’enorme peso di questa responsabilità.
Non ho avuto, però, molto tempo per ambientarmi: da lì a qualche settimana, Varese è entrata nel pieno della seconda ondata, travolta dai contagi. La situazione esplosiva ci costrinse a inventarci qualcosa per reggere la domanda e per coordinarci con gli ospedali sotto enorme pressione. Coì aprimmo alla Caserma Ugo Mara prima e poi a Malpensafiere un check point di smistamento. Arrivavano i pazienti e noi facevamo una prima visita per capirne la gravità: alcuni li abbiamo rimandati al domicilio, altri, codici verdi, inviati in ospedali lombardi meno in sofferenza e i casi più gravi trasportati nei presidi varesini. Erano giorni difficili e la preoccupazione era tanta perchè non avevamo ancora armi, il vaccino non era arrivato, lavoravamo bardati da capo a piedi, attenti a non infettarci anche per non far mancare il nostro apporto in una fase così critica».
Momenti di grande preoccupazione anche nella gestione delle ambulanze e della sala operativa: « Fortunatamente sono arrivati nuovi mezzi, la sala centrale ha mantenuto grande efficienza e con un gioco di squadra perfetto siamo riusciti a superare momenti drammatici. Siamo stati tutti davvero bravi».
In questi 25 anni, la gestione del 118 è profondamente cambiata: « Oggi c’è un’organizzazione differenze, capillarità di presenza, diversificazione di ruoli e gradualità negli interventi. È un sistema davvero performante, quello della Lombardia, unico in Italia. Si trasporta non sempre nell’ospedale più vicino ma in quello dove ci sono le migliori risposte. Nonostante abbia un incarico complesso, io faccio ancora turni in ambulanza. Questo lavoro l’ho conosciuto quando ancora ero specializzanda e ho capito che non avrei potuto fare altro. È un servizio che ti dà la possibilità di uscire, incontrare persone, mettersi a disposizione degli altri non solo dal punto di vista medico, ma anche empatico. Credo che oggi più che mai, dopo due anni di pandemia, abbiamo bisogno di poter stare insieme, vicini, sostenerci nelle difficoltà».
E tra dieci anni come sarà il 118 secondo la dottoressa Campi?
Io spero che ai giovani in formazione possa essere data l’occasione di conoscere bene questo mondo, Spero che il sistema 118 venga inseito nel percorso formativo della medicina d’urgenza così da apprendere questa branca particolare dell’urgenza emergenza. Spero anche in una tecnologia sempre più funzionale: in questi 30 anni abbiamo fatto passi da gigante nella strumentazione. Ma ricordiamoci che è sempre il soccorritore, con la sua esperienza e il suo sguardo a fare la differenza».
Varese festeggia sabato 26 marzo i 30 anni del 118 con una festa ai Giardini estensi preceduta dalla messa in San Vittore.
Il programma
Ore 14.30 Santa Messa nella Basilica di San Vittore
Ore 15.30 Corteo verso i Giardini Estensi per la benedizione dei mezzi
Ore 16.00 Saluti ed interventi delle Istituzioni
A seguire apertura delle attività con la popolazione (postazioni di dimostrazione manovre BLSD,
attività per i bambini, infopoint 112 e Associazioni)
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