Lavoratori “in fuga” verso la Svizzera. “Il confine rischia il deserto produttivo”
Confartigianato Imprese Varese commenta i dati che mostrano il costante aumento della forza lavoro pendolare verso il Canton Ticino. "Serve un intervento strutturale"
Per Confartigianato Imprese Varese la questione frontalieri è aperta da tempo. Per trovare una soluzione alla fuga di lavoratori nella vicina Svizzera (nel primo trimestre del 2022 i lavoratori italiani in Ticino hanno sfiorato quota 75mila), l’associazione di viale Milano ha fatto un vero e proprio percorso, sfociato in un progetto di legge denominato “Aree di confine“. Il rischio desertificazione produttiva nelle aree a ridosso della frontiera ha ormai superato ampiamente la soglia della possibilità per stabilirsi in quella dell’alta probabilità.
Segue la riflessione di Confartigianato.
Il numero più che significativo, e sempre crescente, di lavoratori frontalieri in Canton Ticino fa il paio con le altrettanto crescenti difficoltà da parte dei nostri imprenditori nel trovare, o trattenere, le migliori professionalità in azienda. Un problema che si evidenzia, come è naturale, in modo significativamente elevato nelle aree di confine, più esposte all’attrattività della vicina Confederazione e dei trattamenti salariali assicurati dalle sue imprese. Un fenomeno sul quale proviamo a lavorare dal 2017, anno nel quale abbiamo avviato il non facile percorso del progetto di legge “Aree di Confine” che, in sostanza, prevede di garantire un salario netto in busta paga più alto ai lavoratori italiani impiegati in aziende con sede entro i venti chilometri dal confine svizzero. Una soluzione di buonsenso, forse l’unica con reale efficacia nel breve termine, che darebbe agli imprenditori una boccata d’ossigeno in termini di continuità e qualità occupazionale e, di riflesso, un più alto livello di competitività.
Sappiamo che le imprese del comparto di confine investono, e molto, sulla formazione dei dipendenti nella speranza di trattenere coloro che con fatica hanno avvicinato al lavoro. Ma, spesso, a formazione conclusa sono costrette a fare i conti con una fuga non solo di collaboratori ma anche di competenze fondamentali per resistere e competere sul mercato. La criticità del quadro è avallata dai dati, poiché oggi non solo è difficile trattenere ma anche inserire. La difficoltà nel reperire le figure professionali ricercate si attesta, infatti, al 39,7%, valore superiore a quello di gennaio 2020 (38%) di 1,7 punti.
Quasi introvabili gli specialisti in scienze informatiche, fisiche e chimiche (77,0%), gli operai specializzati nell’edilizia e nella manutenzione degli edifici (67,2%), gli specialisti della formazione e insegnanti (63,2%), i tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione (63,2%), i tecnici della sanità, dei servizi sociali e dell’istruzione (62,5%), i conduttori di mezzi di trasporto (55,9%), gli operatori della cura estetica (51,8%) e gli operai nelle attività metalmeccaniche richiesti in altri settori (51,5%).
Sappiamo che nelle pieghe della legge di Bilancio è stato accolto un ordine del giorno del deputato Matteo Bianchi, che strappa una apertura del Governo a valutare azioni che riguardano un regime fiscale incentivante per i lavoratori nelle aree di confine. Si tratta di un passaggio importante ma, purtroppo, con una prospettiva di attuazione di lunga gittata.
Serve dunque un intervento strutturale, efficace e non “una tantum” – come deliberato poche ore fa dal Consiglio dei Ministri – sul cuneo fiscale, per alleviare una tassazione sul lavoro tra le più alte in Europa e, alla luce delle attuali difficoltà congiunturali, totalmente antistorica. Nell’immediato è parimenti indispensabile intensificare le relazioni tra scuole, ITS, università e aziende del territorio affinché l’incontro tra domanda e offerta possa avvenire e consolidarsi a “chilometro zero”, a garanzia di quella stabilità che in un mondo del lavoro in continuo cambiamento, è fondamentale.
Conosciamo l’importanza del frontalierato ma, allo stesso modo, sappiamo che il benessere di un territorio dipende dalle sue aziende e dal loro stato di salute. Un patrimonio che non possiamo permetterci di disperdere per decisioni ritardate, sguardi rivolti altrove o mancate sinergie.
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La soluzione la si conosce già, ma nessuno ha avuto il coraggio di metterci la faccia. Dal 2023 i nuovi frontalieri saranno uguali di fronte al fisco rispetto a chi lavora in Italia. Finalmente, ma per quale motivo la cosa non viene gradualmente estesa anche agli attuali frontalieri? Solo perchè varcano un confine, possono avere privilegi fiscali fino alla pensione? Da attuale frontaliere ringrazio, tutto fantastico, ma non lo trovo corretto. Non si vedranno effetti positivi prima di 10 anni.
Il rischio è di innescare una sorta di frontalierato interno: i lavoratori di aziende fuori dall’area di confine sarebbero incentivati a trasferirsi presso quelle in zona agevolata e il problema si riproporrebbe qualche chilometro più a sud.