Dal maschile della Meloni allo Schwa: a Varese la linguista Vera Gheno racconta “La convivenza delle differenze”

Venerdì 18 novembre alle 20 in sala Montanari, via dei Bersaglieri 1 Varese, l’associazione Varese Praticittà l'ha invitata a un incontro-conversazione dal titolo “Le parole costruiscono mondi: il linguaggio delle diversità"

Vera Gheno

Sociolinguista, scrittrice, appassionata e appassionante divulgatrice, collaboratrice per vent’anni dell’Accademia della Crusca,  il suo ultimo libro si intitola: “Chiamami così. Normalità, diversità e tutte le parole nel mezzo”: Vera Gheno è una studiosa ma è sulla bocca di tutti perchè studia il rapporto tra la lingua e la società.

E proprio per questo, venerdì 18 novembre alle 20 in sala Montanari, via dei Bersaglieri 1 Varese, l’associazione Varese Praticittà l’ha invitata a un incontro-conversazione dal titolo “Le parole costruiscono mondi: il linguaggio delle diversità”. L’abbiamo raggiunta per anticiparci alcuni degli argomenti della serata.

Non è la prima volta che viene a Varese: quale sarà l’argomento principale?
«Non è la prima volta, ed è sempre un piacere: di solito le occasioni sono offerte dalla pubblicazione di uno dei miei libri, e anche questo è uno di quei casi. Quest’anno l’argomento sarà quello, molto divisivo, della diversità, dell’inclusione o  – come la chiamo io – della convivenza delle differenze, dell’uso del linguaggio ampio, della rilevanza della parola nel cambiare anche la struttura interna della società».

Il suo ultimo libro si intitola “Chiamami così. Normalità, diversità e tutte e parole nel mezzo”, ma quante parole ci sono nel mezzo e da chi dipendono?
«Il titolo del libro fa riferimento al fatto che noi spesso abbiamo una visione polarizzata del normale “versus” diverso, e invece il lavoro che sto cercando di fare, assieme a molti altri studiosi, attivisti e attiviste, militanti è quello di far capire che non c’è normale e non c’è diverso: ma c’è uno spettro, una specie di arcobaleno, tra il normale e il diverso. In realtà potremmo dire che siamo tutti reciprocamente differenti: quindi diversità vuol dire piuttosto varietà, non tanto il discostarsi da un modello. Le parole nel mezzo sono tutte quelle che ci rappresentano nella nostra varietà umana: e il loro uso, la loro possibilità di usarle meglio o peggio dipende chiaramente da noi, utenti della lingua»

Dello schwa in questi ultimi tempi se ne parla molto, ma come succede quando una parola diventa “luogo comune” probabilmente in maniera scorretta. Mi può spiegare qual è esattamente lo schwa, e cosa definisce?
«Lo schwa ha un fortissimo potere simbolico che è evidente anche per il fatto che viene spesso sottoposto a mistificazione. Di per sè è un suono particolare che sta al centro del quadrilatero delle vocali, è la vocale che si può pronunciare quando si tiene la bocca a riposo, mentre per dire le altre è necessario deformare la bocca. Il simbolo che lo contraddistingue è quello di una “e” ruotata in avanti di 180 gradi, ed è un simbolo di un alfabeto particolare che noi linguisti usiamo spesso dal nome “alfabeto fonetico internazionale”. Lo schwa è diventato il simbolo di una ricerca linguistica che riguarda le persone di genere non conforme, ossia le persone che non si identificano nel maschile e nel femminile, e che in una lingua come l’italiano che è binaria (Prevede infatti solo il maschile e il femminile, e non ha un neutro) trovano difficilmente una soluzione linguistica. Non è però l’unica soluzione usata all’interno delle comunità LGBTI+: c’è anche la U ma c’è anche l’asterisco, l’apostrofo e anche altro. Nessuna di queste soluzioni però ha attirato l’attenzione quanto lo schwa: forse perché è più esotico, forse perché non è una lettera del nostro alfabeto e quindi “fa strano”, o forse per mille altri motivi lo scwha è diventato virale, spesso anche in maniera impropria. In particolare, nessuno vuole imporne l’uso da nessuna parte e nessuno l’ha inventato “a tavolino dall’alto”. In realtà c’è un uso documentato del simbolo da almeno 10-15 anni all’interno delle comunità che per prime sono entrate in contatto con le persone di genere non conforme: quindi io che sono assurta a “pasionaria dello schwa” in realtà sono solo un’umile linguista che ne studia l’impiego, possibilmente senza giudicarlo».

Come si risolve la questione Presidente del Consiglio, adesso che in Italia è una donna? Per lei è il presidente, la presidente o che? cosa dice la linguistica?
«La lingua ci dice che è “la Presidente”. Quella di Meloni è una scelta marcata e diversa, che deriva dall’idea che il maschile sia una forma di prestigio rispetto al femminile. E’ marcata però, non errata».

Da sociolinguista, quanto la lingua forma la società, e viceversa? E perchè “le parole sono importanti”?
«Questa è una domanda che riproduce la tendenza alla polarizzazione: al si-no, bianco-nero. La realtà è da qualche parte nel mezzo: indubbiamente la realtà influisce sulla lingua, nel senso che quando noi cambiamo le nostre relazioni e la nostra società cambia è naturale che la lingua si aggiorni di conseguenza. Una lingua che smettesse di aggiornarsi e di seguire i mutamenti dell’essere umano e della società in cui vive inizierebbe a morire e le persone passerebbero a un altro sistema linguistico, perchè quello che usavano non sarebbe più adatto a supportare la complessità. D’altro canto però, le parole ci possono aiutare a mettere a fuoco meglio alcuni aspetti della realtà. Il potere del nominare qualcosa è proprio quello di rendere questa cosa piu visibile, renderla raccontabile, rendere trasmissibile l’informazione che riguarda quella cosa. È questo il potere delle parole: quello di orientare un fascio di luce su qualcosa di specifico che già esisteva ma che non vedevamo bene, poichè fino ad un certo momento non lo nominavamo».

L’ingresso alla serata è gratuito, la prenotazione è richiesta. Per prenotare, è necessario compilare il form.
IL FORM PER PRENOTARE

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 17 Novembre 2022
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