Mario Botta: “L’architettura per la pace è l’architettura del nostro tempo”
Erano quasi 750 gli iscritti al webinar, da Bolzano a Caltanissetta, e si sono presentati in 80 circa a villa Panza per seguire l’ultimo appuntamento Visionare dell’anno, dedicato al grande architetto svizzero Mario Botta
Erano quasi 750 gli iscritti al webinar, da Bolzano a Caltanissetta, e si sono presentati in 80 circa a villa Panza per seguire l’ultimo appuntamento Visionare dell’anno, dedicato al grande architetto svizzero Mario Botta.
Il dialogo con Fulvio Irace organizzatore della rassegna e “contraltare” degli ospiti che si sono susseguiti, questa sera è stato introdotto dalla vicepresidente dell’ordine degli architetti che organizza la manifestazione, Francesca de Tomasi, che ha riportato le parole della presidente Elena Brusa Pasquè, impossibilitata a presenziare: «La pace è oggi un’esigenza profonda del mondo contemporaneo – ha spiegato – Grandi artisti come Pablo Picasso, Marc Chagall, architetti come Kenzo Tange, Le Corbusier, Luis Sert, Tadao Ando e anche l’architetto Mario Botta hanno dedicato opere e progetti alla pace. Progettare per la Pace significa progettare per quella parte spirituale e sacra che c’è in ognuno di noi che ognuno chiama a suo modo con termini come emozione, vibrazione, bellezza».
Il dialogo del 23 novembre si è rivelato «Il posto giusto per la conclusione di quest’anno di incontri – ha sottolineato Irace – Invitare Mario Botta, il cui lavoro conosco da tanti anni e che seguo, permette di rispondere a un interrogativo che ci interroga come persone e come addetti al lavoro dell’architettura».
Botta comincia da un assunto preciso: «Non si può fare una architettura antica: l’architettura formalizza la storia del proprio tempo – ha sottolineato Botta – L’architettura può parlare di pace oggi piu di ieri: se fino a poco tempo fa era impensabile interpretare la pace attraverso il fatto architettonico, ora viene naturale perchè la condizione di non pace è la quotidianità».
L’architetto ne parla a ragion veduta, visto che sta attualmente lavorando in un luogo di guerra. Sta infatti realizzando, con le sue maestranze, la chiesa della Divina Provvidenza a Leopoli, in Ucraina: «Il caso ha voluto che dieci anni fa cominciassi una costruzione a Leopoli, che dieci anni dopo si è trovata in una condizione di guerra – spiega il grande architetto – Con mia sorpresa però hanno espresso la volontà di continuare questa operazione: non tanto per creare la pace, ma per una ragione semplice che mi ha spiazzato: si costruisce, perchè paradossalmente c’è la guerra, e costruire da da mangiare ai figli di chi ci lavora. La quotidianità del lavoro e del vivere collettivo resistono, quindi, anche in queste condizioni di emergenza, che noi vediamo come un’eccezione ma è per loro semplicemente la condizione del vivere oggi».
Come l’architettura può costruire la pace?
«Non è che l’architettura abbia una connotazione particolare in questo senso – precisa Botta – Ha una connotazione specifica se letta in una certa ottica, costruire per la pace nonostante la guerra, anche a costo di sforzi immani e pericoli. Questi operai, dai filmati che mi inviano sono veramente in guerra: nel senso che scattano gli allarmi, vanno nei rifugi, tornano su a lavorare quando finisce il pericolo.Una condizione quotidiana ma anormale nel mondo occidentale, che ci interroga sul tema della guerra e quello della pace».
Mario Botta ha disegnato molti luoghi di culto e di riflessione: chiese, sinagoghe, biblioteche, musei. La domanda, naturale, è: come mai?
«Io credo che ognuno di noi faccia quello che si merita. Da questo punto di vista anche la mia declinazione verso l’architettura mi ha portato soprattutto a fare opere collettive e opere di servizio come teatri, musei, biblioteche. Non ho mai fatto grandi speculazioni edilizie, nessuno me le ha domandate: ma probabilmente perchè si crea una selezione del lavoro rispetto alla sensibilità e alle compagnie che si frequentano. Mi fa piacere sapere che c’è un trend verso i valori spirituali, ma lo spazio del sacro ho avuto modo di praticarlo paradossalmente mentre ero alla ricerca del profano: Mi interessavano i valori primari del fare: la gravità, la luce, i limiti: e questo tema nel sacro sono piu forti che nell’architettura civile, e cosi indirettamente si chiude il cerchio della domanda. Ognuno fa quello che merita e quello che sente piu prossimo alla sua sensibilità e ricerca».
Alla fine dell’incontro, anche una emozionante sorpresa: un videomessaggio del capocantiere delle chiesa della Divina Provvidenza di Leopoli, l’architetto Francesco Gulino, che ha salutato Mario Botta e tutti i partecipanti all’incontro proprio dalla cupola della chiesa di Leopoli.
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