Sara Agostino di Cocquio Trevisago vince il premio giornalistico dedicato a Maniglio Botti
Alla vincitrice un assegno di 1000 euro consegnato dai figli Lucia e Carlo Botti e messo in palio dall'associazione Il Cavedio, di cui il cronista era stato fondatore
È Sara Agostino, ventisette anni, di Cocquio Trevisago, la vincitrice del premio giornalistico dedicato a Maniglio Botti, noto giornalista della Prealpina, amico ed esempio per tutta la categoria.
Tema musicale dal titolo “Tra rap e trap c’è ancora posto per l’immensità” limitato ai giovani sotto i trent’anni. (nella foto da sinistra: Lucia Botti, Sara Agostino e Carlo Botti)
Il premio, un assegno di 1000 euro, è stato consegnato alla vincitrice dai figli di Maniglio Botti, Lucia e Carlo. Fra i partecipanti alla cerimonia si è aperto uno spontaneo scambio di opinioni, su rap e trap, sulla musica italiana degli ultimi anni e un confronto agli anni Sessanta e all’immensità di Don Backy.
Maniglio Botti era infatti un grande appassionato ed esperto di musica, sopratutto quella leggera. I suoi articoli prima sulla Prealpina e poi su Facebook hanno iniziato moltissimi lettori all’ascolto della cosiddetta “canzonetta”. Un diminutivo che poco si addice al ruolo che la stessa ha avuto nella società italiana. E consapevole di questa ingiusta diminuzione, l’approccio del cronista alla musica era leggero e profondo, acuto e spensierato allo stesso tempo. Una narrazione affascinante quella di Maniglio, oscillante tra questi opposti senza perdere mai il senso della realtà.
Carlo e Lucia Botti hanno ringraziato per la partecipazione e, d’accordo con il Cavedio, hanno annunciato che il prossimo anno il concorso continuerà e sarà ancora più ricco di proposte.
La presidente dell’associazione “Il Cavedio”, Laura De Filippo, ha ricordato che le pubblicazioni editoriali del Cavedio sostengono la Fondazione per ricerca sulla fibrosi cistica. Quest’anno, ha detto, abbiamo staccato un assegno di 5000 euro, grazie in modo particolare proprio al libro di ricordi di Maniglio presentato a fine settembre.
L’ARTICOLO VINCITORE
La musica italiana è al passo con i tempi?
In una società che vuole essere sempre più giovane, o che perlomeno ci prova,
nell’ambito della musica spiccano i fenomeni del rap e della trap. Quest’ultima, per
definizione una branca del rap (nasce, proprio dal rap, nei ghetti di Atlanta), sta
conquistando spazi via via più ampi. Di frequente i due generi si confondono fra loro, e i
brani, che possiamo ascoltare ogni giorno in tv, alla radio o in negozi e supermercati,
mischiano sonorità trap, testi rap e, magari, il ritmo latino del reggaeton. Con un mondo
ormai definito ‘fluido’, le etichette tendono a sparire, e anche le canzoni non appartengono
più a una categoria musicale precisa. Basti pensare ad artisti come Ghali o Sfera Ebbasta,
oppure, guardando a nomi più “storici” in questo ambito, Gue Pequeño e Marracash, che
hanno di frequente sperimentato mix sonori e testuali nei loro brani, producendo hit di
successo.
Il rap e la trap “puri” esistono. Li troviamo però all’estero, ad esempio negli Stati Uniti, dove sono nati. L’amalgamarsi di queste differenze non è da considerarsi in ogni caso un male, aprirsi alle novità porta sempre qualcosa di buono, e spesso e volentieri ne sono derivati prodotti ben riusciti.
“In casa nostra”, a Brebbia, è possibile fare l’esempio del rapper Massimo Pericolo, nome d’arte di Alessandro Vanetti, autore nato a Gallarate e cresciuto, per l’appunto, nel piccolo comune della zona ovest della provincia di Varese. Con Polo Nord, brano rilasciato nel 2019, ha introdotto le sonorità trap nella sua musica che era stata fino a quel momento esclusivamente rap, un modo per aprire le porte a un genere più fluido, come si diceva. Questo è accaduto, in modo più o meno evidente, alla maggior parte degli artisti.
Ma tra rap e trap c’è posto per aggiunte, per generi nuovi, per ulteriori unioni di mondi in apparenza così diversi? Trap e rap, nati come movimenti di rottura con il passato, una volta esaurita la propria carica rivoluzionaria, saranno costretti a rinnovarsi, per non rimanere semplice nostalgia di adolescenti e giovani del periodo. Si assisterà a un recupero delle tradizioni del passato come sta accadendo in altri ambiti?
Le canzonette degli anni Sessanta, senza dubbio il periodo più florido per la musica
leggera italiana, sono ascoltate e cantate a memoria da tutti, giovani compresi. Un
autentico trait d’union fra diverse generazioni. Mentre il mondo si divide fra occidente e oriente, fra mainstream e complottisti, toccherà di nuovo alla musica essere una via di comunicazione autentica.
Qualche rapper, o trapper che sia, troverà forse ispirazione nelle canzoni del passato, in Una lacrima sul viso di Bobby Solo o in Insieme a te non ci sto più di Caterina Caselli? Tutto è possibile, e anzi, non vediamo l’ora di ascoltare il risultato di questo mix. Tra rap e trap c’è ancora spazio per l’immensità…magari quella di Don Backy.
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