“Il rischio zero non esiste, ma diecimila infortuni sul lavoro all’anno in provincia di Varese sono troppi”

I sindacati dei metalmeccanici sono stati ricevuti dal vice prefetto. Dopo la morte dell'operaio a Busto Arsizio si chiedono maggiori controlli da parte dell'Ispettorato del lavoro e dell'Ats

Visi scuri, tanta amarezza e un evidente senso di urgenza. I metalmeccanici riuniti fuori dalla Prefettura di Varese, dopo la morte dell’operaio a Busto Arsizio, sono pervasi dalla tristezza e anche da un senso di impotenza: tre morti sul lavoro nel giro di pochi giorni confermano il tragico primato italiano.

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Poco prima dello scoppio della pandemia, Fiom, Fim e Uilm avevano condotto un’indagine di massa nelle imprese metalmeccaniche della provincia raccogliendo 6.100 questionari di lavoratori dove emergeva una realtà contraddittoria. Quasi il 40% di quei lavoratori dichiarava di lavorare in aziende dove non sempre si operava in sicurezza e di converso l’85%  diceva di conoscere i rischi del loro lavoro. Il 50% circa sosteneva di aver fatto una formazione nell’anno precedente alla compilazione del questionario, ma più della metà non sapeva che cosa fosse il Dvr cioè il documento di valutazione dei rischi, fondamentale per individuare i fattori di rischio e le misure da mettere in campo per la sicurezza in azienda.

«Arrivare al tanto agognato rischio zero è quasi impossibile, i rischio è sempre dietro l’angolo – dice Caterina Valsecchi, segretaria della Fim Cisl dei laghi -. Pensiamo a quanto è avvenuto a Busto Arsizio, l’azienda in questione era strutturata e il lavoratore era esperto. Se il rischio zero non esiste vanno però fatte almeno due cose:  spingere sull’intensificazione delle ispezioni, sia quelle dell’Ispettorato del lavoro che quelle dell’Ats. L’altra strada da praticare è aumentare e diffondere la cultura della sicurezza, una consapevolezza necessaria ai lavoratori ma anche alle imprese. Ci si deve abituare a fare diventare la sicurezza un elemento della quotidianità. Quindi dobbiamo abituarci ed educarci all’attenzione alla sicurezza, questo aspetto può abbattere i rischi».

NON IMPORTA QUANTO È GRANDE L’AZIENDA

Il fattore attenzione e una cultura diffusa della sicurezza unite all’aumento dei controlli sono solo una parte della soluzione. Un aspetto che però continua a sfuggire alla comprensione del fenomeno riguarda la diffusione degli infortuni che è trasversale alla tipologia di azienda.
«Un episodio tragico come quello accaduto a Busto Arsizio –  sottolinea Nino Cartosio segretario della Fiom Cgil–  ci dice che gli infortuni accadono anche in realtà aziendali che non sono fuori dal mondo dal punto di vista delle relazioni sindacali e che hanno procedure di sicurezza consolidate, che utilizzano macchinari moderni e lavorazioni dove il fattore tempo non è particolarmente opprimente. Se anche in un contesto in cui c’è una certa attenzione ai temi della sicurezza avvengono fatti tragici, vuol dire che non c’è mai abbastanza attenzione. A volte si è portati a pensare che questi tipi di problemi ci siano solo nelle aziende malmesse o in settori poverissimi, non è cosi. La cosa è particolarmente amara perché nell’ultimo anno l’impegno sindacale delle organizzazioni sindacali nei luoghi di lavoro è stato quello della tutela della sicurezza dalla pandemia per evitare il contagio nei luoghi di lavoro, un impegno che ha prodotto grandi risultati perché le fabbriche sono luoghi dove il contagio non è avvenuto. Un impegno così viene frustrato da episodi che continuano a succedere e trovare delle soluzioni in una provincia dove ci sono diecimila infortuni all’anno è piuttosto complicato».

SOTTOVALUTAZIONE DEI RISCHI

L’Italia in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro può vantare da almeno un quarto di secolo una legislazione avanzata e un sistema di formazione che coinvolge imprese e lavoratori. Forse ciò che manca è una sensibilità al tema maggiormente diffusa. «Si muore ancora spesso in fabbrica – spiega Angelo Re della Uilm – perché a fronte di tanta teoria arrivano poi i fatti a smentirla.Troppo spesso i sistemi di sicurezza vengono spiegati ma non applicati, a volte ci si crede esperti e quindi si sottovalutano i pericoli, in alcuni casi c’è soggezione nei confronti del datore di lavoro e  si assiste anche all’esclusione dei sistemi di sicurezza in nome dell’efficienza e della produzione. La cultura della sicurezza è prioritaria e non può essere subordinata ad altro, altrimenti avremo sempre incidenti sul lavoro».

Il 39% dei metalmeccanici ritiene di non lavorare in sicurezza

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 07 Maggio 2021
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