Parto quindi sono. L’emigrazione ai tempi dei social network

Carlo Brusa, docente universitario di geografia, commenta i dati della ricerca della Camera di Commercio sull'emigrazione dei varesini

Emigranti

«Un tempo si emigrava full time e full life. Si partiva con tutta la famiglia per destinazioni come Argentina e Stati Uniti con viaggi che duravano anche mesi. Oggi non è più così». Carlo Brusa di migrazioni se ne intende, non solo perché studia da anni il fenomeno in qualità di docente universitario di geografia presso l’università del Piemonte Orientale, ma anche per esperienza personale, in quanto il padre Germano, nato a Barre Vermont negli Usa, era figlio di uno scalpellino partito come molti altri dalla provincia di Varese in cerca di fortuna.

Professore, la fotografia sull’emigrazione fatta dalla Camera di Commercio di Varese ci fornisce numeri interessanti, ma anche una riflessione sul cambiamento di questo fenomeno.
«Il cambiamento possiamo riassumerlo così: un tempo speravo e spesso emigrando trovavo il lavoro desiderato. Oggi spero ma non sempre trovo il lavoro che desidero perché devo competere con il mondo intero in un mercato del lavoro molto più qualificato e senza certezze. Il figlio di un mio caro amico, dopo aver studiato come chef è andato in Australia, non proprio dietro l’angolo, per tre anni dove ha lavorato con successo per poi ritornare in Italia abbastanza ricco per aprire un proprio locale. La sua scelta di emigrare non era per la vita intera».

Questo discorso vale per tutti?
«Certo, anche per i docenti universitari e soprattutto per i giovani ricercatori, leoni che devono combattere contro l’insicurezza e il tempo che passa. C’è chi dopo 15 anni di precariato sceglie la via dell’emigrazione, ma non è che all’estero le cose siano più facili. Guardi, ho proprio qui davanti a me l’email di uno che andrà in Corsica. Un tempo la vita del ricercatore era meno travagliata».

La ricerca evidenzia che  il Regno Unito e la Germania sono tra le mete preferite dai varesini, anche se negli ultimi anni sono aumentati i trasferimenti in Cina e negli Emirati Arabi. In termini assoluti invece Argentina, Uruguay e, per ovvie ragioni, la Svizzera sono le più gettonate. Il ventaglio della scelta si sta aprendo notevolmente. Quanto conta la tecnologia in tutto questo?
«Moltissimo, un tempo Francia e Germania erano lontane, ora sono vicine e alla portata di tutti, qualche ora di trasferimenti perlopiù low cost e il gioco è fatto. La tecnologia ha compresso le distanze e i costi, mentre la rete ha sostituito ciò che un tempo era la ragnatela di conoscenze che ti permettevano di arrivare in un luogo, di viverci e lavorarci. La scelta di emigrare oggi è accompagnata da una serie di informazioni di contesto che un tempo non avevi. Detto in termini scientifici, si è compresso lo spazio assoluto ed è aumentato lo spazio relativo».

Quindi la compressione delle distanze influisce sulla percezione dei luoghi?
«Quando io ero ragazzo e pensavo all’America, mi sembrava qualcosa di molto lontano, qualcosa di assolutamente lontano, con una misura certa. I miei allievi e in genere i giovani di oggi non percepiscono lo spazio assoluto perché c’è la mediazione della tecnologia. Cio’ che prevale è invece lo spazio relativo, il vissuto, gli amici, le mitologie. E spesso grazie alla tecnologia lo spazio vissuto corrisponde allo spazio sociale. Io della morte del professor Arcelli, che conoscevo e faceva parte del mio vissuto, l’ho appreso grazie a Varesenews che è uno spazio socialmente riconosciuto».

È mai tornato a Barre Vermont, la seconda patria di suo padre e dei suoi nonni?
«Continuo a scrivere a qualche parente e amico di famiglia, i nipoti di coloro che emigrarono dalla provincia di Varese tra la fine del’Ottocento e l’inizio del Novecento. A Barre ci sono andato fino a quando era viva mia nonna: si parlava dialetto, si mangiava polenta e funghi, proprio come si faceva nella terra dei padri. Ma nonna Rosa, non mi ha mai fatto mangiare “pasta meatballs” che a Expo2015 viene presentata come un elemento tipico della cucina italo-americana».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 08 Luglio 2015
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