Pubblico impiego, con lo sciopero si ritorna a discutere di contratto
Gabriele Dellutri, segretario della Funzione pubblica della Uil, ha contato uno per uno i giorni passati senza il rinnovo del contratto. «Sono 2.570 e senza lo sciopero di giovedì 7 aprile non si sarebbe mai arrivati a uno sblocco»

Gabriele Dellutri, segretario della Funzione pubblica della Uil, ha contato uno per uno i giorni passati senza il rinnovo del contratto. «Esattamente sono 2.570 e senza lo sciopero di giovedì 7 aprile non si sarebbe mai arrivati a uno sblocco. Sono nel sindacato dal 1978 e una situazione così non l’avevo mai vissuta». (nella foto lavoratori del pubblico impiego durante una manifestazione davanti alla ex Provincia di Varese)
Sembra però che la situazione nelle ultime ore si sia sbloccata.
«Diciamo che ora si puo’ aprire la stagione del contratto e ritornare a esercitare un diritto. Riprenderà la contrattazione nazionale dopo che la trattativa di queste ultime ore ha ridotto i comparti del pubblico impiego da dodici a quattro. Ci sarà un contratto unico per sanità, per le funzioni locali, per tutte le funzioni centrali e per la conoscenza. E poi si passerà a una contrattazione peculiare per gli altri comparti, tra cui dogane, agenzia dell’entrate, scuola, enti pubblici non economici».
Che tipo di adesione prevedete per lo sciopero di giovedì?
«Spero massiccia. Sicuramente le dogane di Gaggiolo e Varese parteciperanno in massa e quindi si potrebbero creare dei disservizi. È finito il tempo della delega in bianco al sindacato e a chi sta in prima fila, al lavoratore diciamo: non aspettarti nessuna risposta se non la tua, ciò che conta è che ognuno di noi ci metta la faccia perché solo una risposta collettiva e condivisa da tutti i lavoratori può riscattarci da questi anni terribili. Insomma, non demandate ad altri ciò che potete fare in prima persona. Ecco perché è importante aderire a questo sciopero».
Che errori ha fatto il sindacato e in particolare la Uil in questi anni di messa alla gogna del dipendente pubblico?
«Io sono critico con il sindacato perché quando è passata la Legge 150, la cosiddetta legge Brunetta, che azzerava le conquiste fatte in trent’anni di lotte sindacali e faceva terra bruciata intorno al sindacato e ai lavoratori del pubblico impiego, dovevamo essere più incisivi. Invece abbiamo sottovalutato le ripercussioni che con il senno di poi si sono rivelate tremende. Non siamo stati mai barricaderi e in quel momento pensavamo che si potesse fare macchina indietro, invece non è stato così».
Pensa che in qualche modo la politica vi abbia fregato?
«In che senso?»
Facendo finta di semplificare e creando attraverso le leggi una burocrazia asfissiante che ha soggiogato gli stessi lavoratori dell’amministrazione pubblica.
«La burocrazia è il vero cancro delle amministrazioni pubbliche e la politica ha giocato un ruolo determinante nella percezione negativa del lavoratore del pubblico impiego che evidentemente non fa le leggi, ma deve applicarle. A fronte di un 2% infedele e fannullone, c’è un buon 98% di alte professionalità e abnegazione al lavoro che manda avanti la macchina del Paese, nonostante la politica».
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