I voucher non vanno eliminati, ci vuole un limite all’utilizzo

Il giudizio di Univa non è negativo. Vittorio Gandini (direttore): «Solo lo 0,23% del totale è stato utilizzato nel manifatturiero»

univa

«I voucher hanno risolto in Italia il problema dei piccoli lavori in nero e sono nati per remunerare prestazioni molto marginali. La loro diffusione è stata favorita da un mercato del lavoro in pieno cambiamento. Nel complesso la nostra opinione non è negativa. Ci sono alcuni settori che li usano più di altri e forse quello che serve è un tetto al loro utilizzo». Roberto Ceroni, responsabile dell’area sindacale di Univa, è dunque contrario all’abolizione dei buoni lavoro. «Sarebbe un grave errore – continua il funzionario degli industriali varesini – vorrebbe dire fare un passo indietro. Mentre diverso e utile sarebbe mettere un tetto e garantire la loro tracciabilità per evitare l’uso improprio dello strumento». (nella foto da sinistra: Roberto Ceroni e Vittorio Gandini)

Secondo i dati forniti dall’osservatorio sul precariato dell’Inps, nel 2016 sono stati venduti 133,8 milioni di voucher o buoni lavoro (+23,9% rispetto al 2015)  destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio. Il valore netto di un voucher da 10 euro nominali, in favore del lavoratore, è di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione, salvo che per il settore agricolo, dove, in ragione della sua specificità, si considera il contratto di riferimento. Sono garantite la copertura previdenziale presso l’Inps e quella assicurativa presso l’Inail.

«Se si fa un’analisi dei dati per singolo settore – conclude Vittorio Gandini, direttore di Univa – si evince che quello dei voucher è un fenomeno poco presente nell’industria, considerato che solo lo 0,23% del totale è stato utilizzato nel settore manifatturiero».

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Pubblicato il 07 Febbraio 2017
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