Il COVID ha rafforzato la mia capacità di adattamento
Pietro è un malato oncologico. La sua riflessione è profonda: "Ho imparato ad apprezzare le tante cose belle che in ogni caso hanno accompagnato il fluire dei giorni, delle settimane, dei mesi e degli anni, il poco e il tanto visto ed appreso, l’emozione per nuove vite"
Raccontarsi frugando dentro se stessi non è mai semplice, nemmeno per quello che è un periodo straordinario della storia recente dell’umanità. Provo comunque a farlo, consapevole che parlo della mia esperienza e che ben difficilmente potrà essere di aiuto a qualcuno.
Io sono, oramai da sei anni, un malato oncologico. Una sera come tante sono tornato a casa, ho urinato sangue e dopo poco più di una settimana ero senza un rene e senza un tumore di tredici centimetri; dopo pochi mesi, a una visita di controllo, sono emersi dei micro noduli al polmone che altro non erano che metastasi del cancro primario.
La mia vita è da allora scandita da una TAC ogni tre o quattro mesi e, da tre anni a questa parte, da farmaci chemioterapici e da infusioni di immunoterapia; il tumore non si è fermato ma la sua progressione è lenta e, per il momento, non ha messo radici in altri organi vitali.
Con il cancro insomma convivo e, come si suol dire per dare un tono e un senso a angoscia e trepidazione, combatto la mia battaglia, aiutato e sostenuto dal personale sanitario del reparto di oncologia dell’Ospedale di Varese.
Ho imparato, in questi sei anni, che per andare avanti ci si deve adattare a quanto la malattia comporta: gli esami che non finiscono mai, gli effetti collaterali più o meno pesanti, il dialogo dal quale si cerca umanamente di fuggire ma che inevitabilmente ritorna con la nera signora, quella del sonno senza sogni e senza risveglio.
E ho imparato ad apprezzare le tante cose belle che in ogni caso hanno accompagnato il fluire dei giorni, delle settimane, dei mesi e degli anni, il poco e il tanto visto ed appreso, l’emozione per nuove vite che sono entrate nella mia e le hanno ridato un senso, l’alternanza delle stagioni, in una frase la vita che proseguiva, accettando sempre e adattandomi alle nuove condizioni ed alle privazioni che la malattia e le terapie comportano.
Da fine febbraio questa anormale normalità ha impattato con la pandemia, che è esplosa tanto rapidamente da non lasciare nemmeno il tempo di capirne portata e natura; ero un soggetto a rischio elevato, per età e situazione sanitaria, ho accettato e rispettato l’isolamento soffrendone gli aspetti più intimi e ho cercato di elaborarci sopra un ragionamento di metodo e di merito e di comportarmi di conseguenza.
Le settimane sono volate, una stagione è finita e un’altra è nella sua ultima fase, primavera è arrivata danzando dentro e fuori dalle quattro mura di casa mia e dai rombi della sua recinzione.
Ho, come tutti, coltivato affetti e relazioni con gli strumenti della tecnologia, ho proseguito senza problemi le terapie e da un paio di settimane ho ripreso a uscire, con prudenza, mascherina e guanti e devo dire che il mondo intorno mi è parso se non migliore, meno peggio di quello che avevo lasciato da qualche settimana.
Ne sono, insomma, uscito rafforzato nella convinzione che nulla e nessuno può togliere il tempo raggiunto e che anche in questa esperienza inedita e traumatica è stato importante adattarsi e rinvenire una ragion d’essere; quanto serve per andare avanti con la speranza che per davvero andrà tutto bene.
Pietro
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