Scuola europea: da 50 anni una risorsa “poco sfruttata”

Compie mezzo secolo l'istituto voluto dalla Comunità europea per creare un'integrazione tra i giovani. Una ricchezza culturale minacciata dalla crisi economica

Il direttore Mario Da TorreCorreva l’anno 1960. A settembre, un piccolo gurppo di tredicenni iniziava l’anno scolastico in una scuola multilingue, collocata al quartiere Bellotti, scuola voluta e finanziata da un nuovo ente politico sovranazionale: la Comunità europea.
A cinquant’anni di distanza, la Scuola europea varesina ripercorre il cammino fatto in questi lunghi anni e si interroga sul futuro: « Il 13 ottobre apriremo ufficialmente l’anno dei festeggiamenti – spiega il direttore, il portoghese José Mario Da Torre – anche se il culmine sarà a maggio prossimo quando avremo ospiti rappresentanti dell’Unione».

Milletrecentoventi studenti, 16 diverse lingue d’insegnamento, duecento professori, 40 impiegati: sono i numeri attuali della scuola abbarbicata sulla collina del Montello, conosciuta dal grande pubblico più per i bus che sfrecciano in tutta la provincia per raccogliere e riportare i ragazzi: « Noi, però, siamo una scuola apertissima – assicura il direttore – Molto disponibili a mettere a disposizione le nostre risorse. Abbiamo docenti di diverse lingue ma anche esperti che sarebbero ben lieti di confrontarsi con colleghi italiani o semplicemente con la popolazione di Varese. Abbiamo esempi, nel passato, di professori invitati per conferenze, seminari. Non ci siamo mai tirati indietro. Capite, però, che non possiamo imporci. Noi non siamo alla ricerca di studenti e non abbiamo bisogno di farci pubblicità  Dove occorre il dialogo, poi, abbiamo ottimi rapporti: dal Sindaco al Presidente della Provincia, fino a tutte le ditte con cui lavoriamo per la logistica o l’organizzazione. La nostra presenza ha permesso a molti lavoratori stranieri di venire a Varesea e portare idee e professionalità: sapere di avere una scuola dove mandare i propri figli mantenendo il proprio cammino culturale rappresenta un grande vantaggio».

Alla Scuola europea entrano di diritto i figli dei dipendenti del CCR di Ispra e quelli dei docenti interni. Poi c’è una cinquantina di ditte varesine che ha siglato un apposito accordo con l’istituto per far accogliere i ragazzi dei propri lavoratori. Infine, c’è la categoria dei "privati", cioè figli di italiani che vengono ammessi a condizione che ci siano posti liberi: « Abbiamo cinque sezioni linguistiche  dalla materna alle superiori: italiana, inglese, francese, tedesca e olandese. La più popolosa è quella italiana con 402 iscritti . Segue la sezione inglese con 350. Con l’allargamento dell’UE, abbiamo dovuto riorganizzarci per assicurare a tutti i ragazzi di qualsiasi paese europeo l’insegnamento nella propria lingua madre. Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione con il Comune che ci ha permesso di allargarci».

Al di là della propria lingua, però, i ragazzi devono studiare obbligatoriamente un’altra lingua tra tedesco, francese e inglese: « Il valore della nostra comunità però – spiega Il professor Da Torre – è la piena integrazione tra studenti. In classe arrivano ragazzi di diversi paesi che poi incontrano altri compagni nel corso delle lezioni. Per esempio: storia e geografia vengono insegnate nella "seconda lingua". Arte, musica e educazione fisica, in un’altra ancora. I nostri giovani vengono continuamente "rimescolati" e si confrontano con altre culture, di altre nazioni. In questo modo si sviluppa un sentire "europeo", che, poi, è il motivo per cui la Comunità europea volle una scuola sua 50’anni fa: sviluppare un senso d’appartenenza comunitario ed evitare nuove guerre tra paesi confinanti».

Nonostante il successo e il valore culturale dell’iniziativa, il direttore Da Torre non vede un futuro roseo: « Siamo in un momento difficile. Non abbiamo registrato tagli ma c’è una contrazione economica. I nostri costi vengono coperti anche dalla Commissione europea che, a sua volta, viene finanziata dagli Stati membri. Ebbene, in questo momento i tagli colpiscono proprio il settore della formazione: l’Italia non è un caso isolato. In Portogallo e in Spagna, per esempio, ci sono tagli degli stipendi per i professori. Così anche la nostra realtà subisce contraccolpi. La cultura e la formazione sono investimenti non monetizzabili immediatamente».

La Scuola europea si appresta, dunque, a spegnere le sue 50 candeline. Con il fiato un po’ corto.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 06 Ottobre 2010
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