La nostra birra è green

Carlsberg Italia ha presentato il bilancio di sostenibilità 2012. È stato tra i primi produttori di birra al mondo ad ottenere la certificazione Epd che permette di valutare la sostenibilità ambientale del prodotto in ognuna delle fasi del ciclo di vita, dalla coltivazione delle materie prime fino allo smaltimento in discarica

Quella che altri gruppi industriali chiamano innovazione, alla Carlsberg di Induno Olona, uno dei principali produttori di birra in Italia, la chiamano rivoluzione. Un mix, fatto di qualità e sostenibilità, capace di far rinascere un’azienda che fino a 6 anni fa, quindi prima della crisi, perdeva 60 milioni di euro l’anno. L’occasione per raccontare questa rivoluzione è stata la presentazione del bilancio di sostenibilità 2012, un lavoro diviso in sei sezioni: dalla performance ambientale ed economica fino a quella sociale.
Carlsberg è stato tra i primi produttori di birra al mondo ad ottenere la certificazione Epd che permette di valutare la sostenibilità ambientale del prodotto in ognuna delle fasi del ciclo di vita, dalla coltivazione delle materie prime fino allo smaltimento in discarica, dalla culla alla tomba. «Abbiamo una leadership ambientale – ha detto Alberto Frausin, amministratore delegato di Carlsberg Italia – che abbiamo ereditato dal passato e ogni anno aggiungiamo un pezzo per migliorarla».
L’innovazione si chiama sistema DraughtMaster e ha rivoluzionato il concetto di birra alla spina perché ha eliminato l’aggiunta di anidride carbonica e il fusto in acciaio, sostituendolo con uno in pet (polietilene tereftalato, materiale per contenitori alimentari). Con una sola mossa si sono portati vantaggi a tutta la filiera: è migliorata la qualità della birra, è diventata più semplice e meno onerosa la gestione del prodotto da parte dei clienti e infine è migliorato l’impatto ambientale perché il nuovo sistema permette di risparmiare sui consumi nel processo produttivo e inquinare meno. I dati certificati dicono che l’innovazione introdotta da Carlsberg produce il 28,6% di CO2 in meno rispetto ai fusti di acciaio e il 49,1% in meno rispetto alle bottiglie in vetro, mentre in termini di risparmio energetico il 19,9% e il 41% in meno. Tanto per dare un’idea: 60 litri di birra spillati dai nuovi fusti in pet contribuiscono a ridurre l’effetto serra quanto un albero  in un anno di vita. «Il cambio di tecnologia è stato duro – racconta Frausin – ma questo è il momento di avere il coraggio e devo dire che qui ognuno fa la sua parte». Compresa la casa madre danese che, in un momento dove tutti cercavamo di tirare in remi in barca, ha deciso di investire sul sito di Induno dai 10 ai 12 milioni di euro all’anno. 

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Le aziende green in provincia sono circa 6 mila. È un dato approssimativo perché molte imprese vivono sottotraccia questa dimensione, un po’ perché poco abituate a raccontarsi, un po’ perché non pienamente consapevoli di esserlo. L’innovazione di Carlsberg, secondo Vittorio Gandini, direttore dell’Unione degli industriali della provincia di Varese, si inserisce in una sensibilità che fa parte del sistema manifatturiero varesino. «Molte aziende hanno avuto la capacità di produrre valore sul territorio non solo attraverso la remunerazione dell’azionista – ha detto Gandini – ma anche con un’azione concreta sul piano sociale perché spesso le esigenze coincidevano. Pensiamo a tutte quelle imprese che hanno anticipato i soldi necessari alla costruzione di depuratori o collettori per il trattamento delle acque. Un altro esempio è l’università Liuc di Castellanza, dove l’Unione degli industriali è stata il playmaker di un’operazione che ha valorizzato il territorio con una ricaduta positiva per tutti».

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Pubblicato il 11 Settembre 2013
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