Franco Battiato era un ricercatore coraggioso

Il pianista Carlo Guaitoli e il musicologo Guido Barbieri hanno ricordato le tante identità dell'artista siciliano nella serata organizzata dall’Università dell’Insubria in occasione della Stagione concertistica dell’ateneo

battiato insubria

Onnivoro, ricercatore, anarchico, sperimentatore. Più compositore e arrangiatore, che cantautore e interprete. Niente male per uno che non sapeva leggere uno spartito e che, se non avesse scritto ”L’era del cinghiale bianco”, accettando di fatto il salto nella musica commerciale, sarebbe finito in qualche scuola a imparare l’arabo.

Le tante identità di Franco Battiato si sono ricomposte nella splendida serata organizzata dall’Università dell’Insubria nell’Aula Magna di via Ravasi in occasione della Stagione concertistica dell’ateneo. Chiamati a ricomporre una vita artistica affascinante ma difficile da inquadrare, due persone che hanno vissuto e condiviso con Battiato il palcoscenico e i vari momenti della sua carriera: il pianista Carlo Guaitoli, che lo ha affiancato per trent’anni nelle maggiori produzioni, concerti e opere, e il musicologo e voce di RaiTre Guido Barbieri, amico dell’artista.
«Molti di voi avranno nella mente la voce e le parole di Franco, oggi proveremo a capire senza quella voce e quelle parole cosa ci resta di lui» ha esordito Barbieri. Nessun testo, ma solo le note del pianoforte di Guaitoli a scandire i vari momenti di una collaborazione artistica iniziata nel 1994 con l’esecuzione della “Messa arcaica” e conclusa nel 2017 con la stessa opera eseguita a Catania nell’ultimo concerto di Battiato prima della sua morte. «L’alfa e l’omega» di un rapporto importante.

La voce di Franco Battiato «è sciamanica, è significato che diventa significante». Ha qualcosa di ipnotico che dà un tocco unico e particolare anche quando interpreta canzoni di altri autori. «Una volta a casa provate a riascoltare “Insieme a te non ci sto più” cantata da Caterina Caselli e scritta da Paolo Conte e Vito Pallavicini- ha sottolineato Barbieri – Quando ascoltate la versione di Franco si evidenziano i valori musicali, una trasparenza e una pulizia che nemmeno l’autore è in grado di rimarcare così bene».

La tesi del musicologo è chiara: l’anima del compositore in Battiato è così forte che le sue canzoni arrivano al pubblico anche senza le parole. E la folta platea che ascoltava le esecuzioni al pianoforte di Guaitoli, sembra confermarla. Tante erano infatti le teste che scandivano il ritmo dei vari brani come se partecipassero a un karaoke muto. E mentre riecheggiavano le note di canzoni famose come “I treni di Tozeur”, “La stagione dell’amore”, “L’era del cinghiale bianco” e “Segnali di vita”, Barbieri ricordava al pubblico quanto era difficile distinguere i vari momenti della vita artistica di Battiato in base ai testi. «La sua capacità di miscelare parole così diverse tra loro per contesto storico e significati è una caratteristica che Franco ha manifestato fin dagli esordi milanesi quando portava nei locali canzoni medioevali siciliane, per lo più inventate da lui» ha spiegato il musicologo. In effetti, nessuno prima di Battiato aveva osato scrivere “Gesuiti euclidei / vestiti come bonzi per entrare a corte degli imperatori / della dinastia dei Ming”. Così come nessuno aveva mai cercato un centro di gravità permanente.

A proposito del brano amatissimo “La cura”, Battiato ha sempre negato che fosse una canzone d’amore. Sarebbe stata perfetta, ma l’artista, secondo il musicologo, non era tanto alla ricerca della perfezione, quanto della bellezza del suono. E la bellezza, si sa, ha più a che fare con l’armonia che non con la perfezione.
«Un giorno prima di un concerto gli chiesi se fosse emozionato – ha raccontato Barbieri – la sua risposta fu spiazzante: ”Se lo fossi, sarei un arrogante. So di non essere perfetto”».

Chi era dunque Battiato? Guaitoli: «Franco era determinato e quindi metteva tutta l’energia che aveva in ogni nuovo progetto. Ha sperimentato prima di tutti la musica elettronica. In Europa il sintetizzatore lo hanno usato per primi lui e i Pink Floyd. Era un ricercatore coraggioso».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

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Pubblicato il 27 Gennaio 2023
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