Gabriela Mistral la direttrice Premio Nobel che consigliava i libri al giovane Neruda

Il viaggio di Dino Azzalin continua nella regione dell’Araucania e nel deserto di Atacama tra alpaca, vicuna, lama e guanaco

Questo è un diario di viaggio dal Cile scritto da Dino Azzalin che per la “maggiore età” ha voluto farsi un regalo ripercorrendo le tracce e la storia dei miti giovanili, a partire dal poeta Pablo Neruda per arrivare a Salvador Allende.
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Non ringrazierò mai abbastanza Catalina, che mi ha messo in contatto con Juan Carlos Aguilar, di Valparaiso, guida letteraria, musicale, politica, raffinato mentore della cultura cilena che mi ha condotto in un emozionante “pellegrinaggio” lungo i paesaggi nerudiani. Con lui ho visitato oltre alla Sebastiana residenza del poeta a Valparaiso e quella più famosa a Isla Negra sull’Oceano Pacifico, e lungo la strada per Parral, l’Araucania, Temuco, luoghi natali di cultura Mapuche dove ha vissuto Neruda, dove sono nati Violeta e Isabel Parra, Victor Jara, e contaminati da Luis Sepulveda, Antonio Skarmeta, Tito Fernandez El Temucano, e tantissimi altri che porto con me nel ricordo della trasmissione di Latino America a Radio Varese degli anni ‘70, con Mariella, Franco, Flavio ( che visse in Cile il periodo di Unidad Popular).

E qui nella verde regione dell’Araucania vibrano le corde del charango e della quena con le emozioni degli Inti Illimani e i Quilapayun, della fiera battaglia dei guerrieri Mapuche e della loro musica popolare andina. Ma prima di lasciare Temuco capitale della provincia Cautìn e della regione Araucaria, impressiona proprio che qui abbiano vissuto nella stessa scuola ben due premi Nobel: Gabriela Mistral (lo avrà nel 1945) che ne era la direttrice e che diede consigli di lettura preziosi a Neruda (lui lo riceverà nel 1971) e che a 16 anni era già il presidente degli studenti del “Liceo de los hombre”. In pochi sanno che nel 1932 Gabriela Mistral, che non aveva mai fatto segreto della sua “diversità sessuale”, venne inviata a Napoli come console cileno in Italia. Lei si dichiarò antifascista, e Mussolini la fece arrestare anche perché non accettava nessuna donna come rappresentante diplomatico. A Temuco dove a ogni angolo si vedono murales, si leggono i loro versi incisi nella pietra o fusi nel bronzo, la loro presenza è ancora viva anche tra i giovani.

Il museo ferroviario Pablo Neruda è il più bello che abbia mai visto. Anche se per me il viaggio del poeta potrebbe finire qui è venuto il momento di continuare il cammino perché il Cile ha sorprendenti bellezze da godere e da contemplare. Juan Carlos tornerà a Valparaiso e io volerò prima a Santiago e poi a San Pedro nel deserto di Atacama nella Pampa sconfinata, all’estremo nord del Cile ai confini con l’Argentina, il Perù e la Bolivia sull’altopiano che arriva a quasi 5000 metri sul livello del mare. Porto con me l’autobiografia scritta da Neruda poco prima della morte, “Confesso che ho vissuto“. È una prima edizione ingiallita ma che reca ancora il profumo della carta e della sua eterna poesia, perché la data è del 1974 avevo, 21 anni, un testo potente e un libro, come mi scrisse recentemente Serena Contini, storica del Comune di Varese, che bisognerebbe rendere obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado, quasi più delle sue poesie.

IL DESERTO DI ATACAMA

Se è vero che l’anima è il cibo del viaggio come scrive il poeta di “Zorba il greco”, Nikos Kazantzakis, è altrettanto vero che il deserto è il “viaggio dei viaggi”, così avevo scritto quando attraversai il Sahara algerino con Giacomo, Carlo, Pierluigi amici “peugeottari” d’un tempo. Certo qui a dominare la scena non sono le piste a orientamento, o le dune cremose di Djanet, in Algeria, o quelle dalle impressionanti altezze del “Quarto vuoto” in Oman, dove ero salito con Riccardo mio figlio, ma protagonisti sono l‘eterno paesaggio lunare frammisto al sale e allo zolfo di un mare sprofondato in una caldera di milioni di anni fa. Nella Pampa di Atacama la prima cosa che manca è l’aria, lo chiamano mal de Puna e dove le montagne sono più glabre e lunari, salendo la cordigliera andina, è più l’ossigeno manca.
Allora bisogna camminare più piano. Respirare lentamente. Il deserto è come una grande isola arida e desolata ma non priva di vita, infatti anche se non piove da anni qui si lavora e si sopravvive come in qualsiasi altra parte del mondo. E le migliaia di indios qui vivono di due grandi occupazioni: le miniere di rame e salnitro e di turismo interamente gestito dalla comunità locale indigena.
Quest’ultimo è un progetto splendido per valorizzare le numerose attrazioni del deserto che davvero si auto sostiene e attira ogni anno migliaia di visitatori da tutte le parti del mondo. Qui la comunità andina è formata dai discendenti delle prime tribù che abitarono queste aride valli, dagli antichi Atay, gli Aymara, fino agli Incas provenienti dal Perù sin dall’era precolombiana. Molti petroglifi, incisioni rupestri ne testimoniano il passaggio. Qui i laghi salati contengono centinaia di minerali tra cui litio, ferro e rame preziosissimi per i minatori e per l’economia locale, ma la loro bellezza collettiva soprattutto dei colori lascia senza fiato in tutti sensi, si fa fatica a respirare a 4700 metri come dicevo sopra, anche con due o tre matè di coca, l’unica bevanda che attenua il mar d’altura. Qui Neruda nel 1945 venne eletto senatore del Cile coi voti di questi uomini dal volto bruciato.
Da Iquique (si ricordi l’eccidio di 6000 minatori nel 1906) e Calama fino alla eterna primavera di Arica, è gente silenziosa dagli occhi scuri dove si legge ancora oggi una oscura intensità. A loro è dedicato una buona parte di “Canto Generale” dove scrisse tra l’altro “in pochi posti al mondo la vita è così dura e allo stesso tempo priva di qualsiasi attrattiva. Costa indicibili sacrifici trasportare la poca acqua, conservare una pianta che dia il fiore più umile, allevare un cane, un coniglio, un maiale. Loro gli abitanti di quelle solitudini sono uomini che non hanno mai usato un colletto o una cravatta”.
Ed è ancora così perché lo sconvolgimento del clima ha aumentato le dimensioni del deserto spingendo la comunità indios a vivere di un turismo cosmopolita, giovane, intelligente, rispettoso dell’ambiente ( qui anche le dune sono patrimonio dell’umanità). E che dire della volta celeste? In nessun altro posto al mondo si vede quel che si vede a pochi chilometri da San Pedro di Atacama, ad Alma il più potente telescopio del mondo che osserva ogni notte l’universo quasi con gli occhi di Dio. Un immenso bagliore che lascia sgomenti e stupiti anche il più provetto degli astrofisici.

IL ROBOT CHE È ANDATO SU MARTE

Qui la NASA ha fatto le prove del rover che ora percorre la superficie marziana. Di quella interminabile lezione di astronomia e il bighellonare tra quelle potentissime visioni ho imparato che le stelle stanno ferme nel loro eterno lucore mentre i pianeti si muovono come occhi immobili di pantere nel buio dell’Universo. Il deserto è uno di quei luoghi dove tra mari di sabbia e sale simili a neve, l’introspezione induce a pensieri profondi, ci si misura coi propri limiti e gli affanni quotidiani ma anche con lo smarrimento misterioso di questa dimensione surreale ed estrema rispetto al Cosmo. Ma chi dice che è un luogo inospitale e senza vita si sbaglia, numerose sono le sorprese, greggi di alpaca, vicuna, lama, guanaco, e muli che pascolano liberi e selvaggi. E per non parlare della fioritura che in primavera (l’ultima nel 2017 perché era piovuto più dei 15 mm annuali) mi dicono essere uno degli spettacoli più incantevoli del Pianeta. Infatti si verifica ogni 5-7 anni ed è una scenografia unica al mondo: come il Desierto Florido. In tutto il confine meridionale del deserto, milioni fiori rosa, rossi, viola e blu, per un totale di circa 200 specie trasformano il paesaggio arido in un tappeto fiorito. Ma questo avviene se si è fortunati tra agosto e settembre. Altri spettacoli a gennaio.

Lagune e laghi salati formano dei landscape mozzafiato divisi da paesaggi riarsi, secchi, asciutti che vengono interrotti da sorgenti termali a 4000 mila metri dove è piacevole farsi cullare da acque curative e corroboranti. Al confine boliviano per esempio è una apoteosi di vento freddo e milioni di pietre che assumono forme di volti come le torri che svettano stravolti dalle estenuanti eruzioni vulcaniche intorno alla cordigliera andina. Un misterioso scultore con mani invisibili guidate dal tempo il vento e la pioggia ci offre sculture incredibili, guardiani di un paesaggio unico e indimenticabile.
La sera naturalmente sul viale principale “Los caracoles” a San Pedro di Atacama, (3270 s.l.m) ancora in terra battuta si trova di tutto anche una movida di un turismo bello, giovane, intelligente, che ricorda un po’ i nostri vecchi hippies e che oggi con i tours vari servizi offerti alla comunità andina si integrano perfettamente con la bellezza del deserto di Atacama. Ma domani, giusto per prepararmi al clima invernale che mi aspetterà tra due settimane al rientro, inizierò la discesa a sud, viaggiando tra la Patagonia cilena e quella argentina, fino ai confini del mondo.

Sulle tracce di Salvador Allende e Pablo Neruda

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Pubblicato il 16 Gennaio 2023
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