Nella “Bolla dell’oratorio”: venti ragazzi vivono in comunità da due settimane a Varese
Sono oltre 20, hanno tutti tra i 16 e i 18 anni, vivono insieme senza uscire da due settimane nella grande struttura dell'oratorio di Biumo Inferiore, a Varese. Ma non è una costrizione, anzi: ecco come è stato possibile
Sono oltre 20, hanno tutti tra i 16 e i 18 anni, vivono insieme senza uscire da due settimane nella grande struttura dell’oratorio di Biumo Inferiore, a Varese. Ma non è una costrizione, anzi: è stata una scelta di condivisione e socialità che in questi tempi di Covid è stata vissuta dai ragazzi come una boccata di aria fresca.
E soprattutto, sembra essere una idea vincente per alleviare, almeno per qualche ragazzo quello che sta diventando un problema anche sociale: il disagio degli adolescenti, chiusi in casa da ormai un anno.
«È un’idea nata dall’intuizione dei ragazzi – spiega don Gabriele Colombo, che si occupa della pastorale giovanile della comunità pastorale beato Samuele Marzorati, che raduna i quartieri di Biumo Inferiore e Superiore, San Fermo e Valle Olona, e che sta vivendo in questa piccola e curiosa comunità – in particolare uno di loro a settembre scorso, prospettandosi di nuovo zone rosse e isolamenti, ha ricordato come nei tempi forti noi facevamo periodi di vita comune e ha proposto “Ma non si potrebbe fare come l’NBA?”. Le squadre americane che giocano in quella lega di pallacanestro sono entrate infatti in una sorta di “bolla” chiusa dove allenarsi giocare vivere insieme: tampone, quarantena e via. L’abbiamo preso sul serio e ci abbiamo cominciato a lavorare su».
Dirlo però non è come metterlo in pratica: «Innanzitutto, abbiamo valutato cosa ci consentisse la legge: e abbiamo trovato nelle stesse norme, più precisamente l’allegato 8 di tutti i DPCM fino ad ora emessi, che prevedeva la possibilità di una aggregazione non formale, naturalmente con tutte le regole che il caso prevede. Abbiamo cominciato a studiare come applicarlo e poi siamo andati oltre, creando un vero e proprio isolamento per tutto il periodo in cui stavamo insieme».
Una ricerca che ha coinvolto anche la Prefettura e il Comitato Tecnico Scientifico, per ricevere un ok ufficiale al loro progetto. «Un processo lungo attivato con la prefettura: in particolare c’erano diversi quesiti su quell’allegato 8 che volevamo fossero chiariti. Avevamo bisogno della conferma che quelle norme fossero valide anche in caso di zona rossa. Il Prefetto è stato grandioso: si è fatto promotore della nostra richiesta presso il comitato tecnico scientifico, e ci ha fatto ottenere la risposta, che fortunatamente è stata positiva»
Ora, una volta sospesa nuovamente la didattica: «Abbiamo reso concreta l’esperienza: che è cominciata con un tampone “d’entrata” e l’impegno di stare almeno 14 giorni consecutivi, cioè il tempo di una quarantena, e si concluderà con un secondo tampone in uscita». I genitori: «Sono stati tutti avvisati e ragguagliati su zoom di come intendevamo muoverci. Sanno tutto, anche che ora abbiamo deciso di fare una settimana in più, per uscire di qui alla domenica delle Palme».
Nella grande struttura dell’oratorio di Biumo, i ragazzi – In tutto 22, di cui 2 maggiorenni tra cui un educatore – non si fanno mancare niente: «Cominciamo con le preghiere del mattino, poi colazione e DAD per tutti i ragazzi. L’ultimo la chiude alle due del pomeriggio. Il pranzo ce lo prepara un cuoco, che però non entra minimamente in contatto con noi: ha una sua entrata, e lascia semplicemente il cibo li. Lo facciamo perché tutti stanno studiando e non avrebbero il tempo di prepararsi da mangiare. La sera invece, si prepara la cena tutti insieme – precisa il don – Finita la DAD e i compiti, infine, c’è tempo per tutti gli svaghi».
Nella grande struttura di Biumo, gli svaghi sono tanti: «C’è lo sport, perché abbiamo accesso ai campi. C’è anche la musica, perché in molti si sono portati da casa lo strumento: ne abbiamo di ogni genere, dall’arpa al basso, passando per le chitarre. I ragazzi poi hanno una certa inventiva per riempire la giornata: si è fatta la “serata film”, come molte altre cose. A me piace ricordare che abbiamo fatto anche un incontro su zoom con il Prefetto, un’oretta piena di domande. E che domani abbiamo un collegamento con un sacerdote in Terra Santa».
Naturalmente, come in ogni comunità che si rispetti, c’è anche il tempo per pulire e mettere in ordine: «Oltre a far da mangiare, qui si puliscono i pavimenti, si lavano i piatti e si fa la lavatrice: hanno imparato tutti come si fa».
In più, hanno fatto qualche lavoro per la comunità che li accoglie da oltre due settimane: «Abbiamo finito di imbustare gli ulivi da dare alla comunità a Pasqua – spiega il “don” – E’ un lavoro piuttosto noioso fatto da soli, e siccome noi siamo gli unici a poter lavorare insieme, abbiamo dato il nostro contributo».
La “vacanza di quaresima nella bolla” ha visto il libero contributo di ciascuno dei ragazzi: che si sono pagati da sè il tampone, e hanno diviso i costi dei pasti e della gestione del luogo. «La cosa più bella di questa esperienza è che vedo tutti sereni, sorridenti, e non è poco – spiega don Gabriele – Soprattutto i ragazzi delle superiori sono particolarmente penalizzati da questa situazione: praticamente sono a casa da un anno, tra alti e bassi. E qui non si sentono “in vacanza”, con la sensazione di poter fare quello che vogliono: li vedo attenti e anche i genitori hanno rilevato che lo sono, specialmente parlando di rendimento scolastico, visto che qui continuano regolarmente a frequentare le lezioni».
L’esperienza di Biumo è non solo straordinaria, ma potenzialmente replicabile per alcune piccole comunità: «Sono convinto che possa rappresentare un modello, questa nostra esperienza – spiega don Gabriele – Non è stato facile all’inizio, però: perché bisogna prendersi la responsabilità di fare una cosa nuova. Da questo punto di vista devo ringraziare il mio “capo”, il parroco don Carlo Garavaglia, che ci ha sostenuto molto: dopo aver fatto le dovute verifiche ha capito che le cose giravano per il verso giusto e ha dato l’ok, sostenendo fortemente quello che stavamo facendo. Ma non è tutto rose e fiori, diversi credevano che stessimo facendo qualcosa di irregolare, cosa che invece non è».
Ora, con un piccolo aiuto della Fondazione Comunitaria del Varesotto, l’esperimento potrebbe diventare un progetto concreto «Abbiamo chiesto una mano alla Fondazione per coinvolgere i ragazzi che ci hanno lavorato. Vogliamo mettere nero su bianco il progetto, promuoverlo, renderlo un po’ piu sistematico: perchè non è solo un’idea, abbiamo costruito qualcosa che sta concretamente in piedi».
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Geniale
Brava Stefania ad averlo raccontato. Bravi tutti, prefetto incluso.